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A settembre si vota il referendum costituzionale, lo sapevi?

Il 20 e 21 settembre prossimi si terrà il referendum costituzionale per l’approvazione della riforma della Costituzione, votata dal Parlamento lo scorso 12 ottobre 2019 attraverso la proposta “A.C. 1585- B”. Il testo della riforma costituzionale[1] prevede la riduzione di 1/3 degli attuali seggi di Camera e Senato, che passerebbero da 630 a 400 e da 315 a 200. Nessuna modifica per il processo di elezione del Presidente della Repubblica (il numero dei delegati regionali per il Parlamento in seduta comune resta invariato). Invariati anche il numero dei Senatori a vita nominati dal Quirinale e le competenze delle due Camere (si conferma il sistema del bicameralismo perfetto)


Il processo di modifica costituzionale è regolato dall’Articolo 138 della Carta[2], che stabilisce la necessità di un procedimento “rafforzato” rispetto alla normale attività legislativa: doppio passaggio in entrambe le Camere e convocazione di un referendum popolare, se non si raggiunge la maggioranza qualificata del 2/3 dei parlamentari nelle seconde votazioni di Camera e Senato. Il referendum costituzionale (a differenza dell’omologo abrogativo) non necessita di quorum della partecipazione del 50%+1 degli aventi diritto e la proposta di modifica si ritiene approvata se i “SI” sono superiori ai “NO”.


Particolarmente interessante è l’analisi della ripartizione dei seggi per Regione, con un’evidente riduzione dei rappresentanti dei territori medio-piccoli che perderebbero fra il 33% e il 57% degli eletti in Parlamento. Sulla base di un’elaborazione a cura dell’ANSA (ripresa anche dal Codacons[3]) si può notare come la Basilicata venga privata di 2 Deputati e 4 Senatori (da 6 a 4, -33,3% e da 7 a 3, -57,1%), il Friuli Venezia-Giulia perde 5 Deputati e 3 Senatori (da 13 a 8, - 38,5% e da 7 a 4, - 42,9%), mentre la Sardegna dovrà rinunciare a 6 Deputanti e 3 Senatori (da 17 a 11, -35,3% e da 8 a 5, -37,5%). Percentuali simili si possono riscontare anche per la ripartizione dei seggi in Molise, Umbria, Liguria, Calabria, Trentino-Alto-Adige e Marche.


Al netto della discussione su ipotetici risparmi e “velocizzazione del processo decisionale”, appare assolutamente evidente come le aree meno rappresentate del Paese escano ulteriormente indebolite dalla ripartizione della riforma, a vantaggio delle Regioni più grandi e popolose (Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Campania per fare qualche esempio pratico). Le Regioni più grandi andrebbero a ricoprire una posizione di evidente superiorità, per certi aspetti al limite della sovrarappresentanza, rispetto ad aree dell’Italia che rischierebbero di non eleggere alcun rappresentante dei partiti minori, anche a causa dell’assenza di una legge elettorale adeguata al testo costituzionale riformato.


La domanda a cui rispondere all’interno dell’urna elettorale appare, quindi, per nulla scontata e assolutamente fondamentale: questa proposta di riforma della Costituzione della Repubblica garantisce la piena rappresentanza popolare di tutti i territori? Come sempre la scelta è in mano ai cittadini.


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