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Immagine del redattoreEva Prodi

Aborto libero (se nessuno ha obiezioni).

Aggiornamento: 1 set 2020

È di recente pubblicazione una circolare del Ministero della Salute volta a modificare le norme in materia di interruzione volontaria di gravidanza. A cambiare sono le normative riguardanti l'aborto farmacologico, che potrà ora essere eseguito senza necessità di ricovero e fino alla nona settimana di gestazione. Una modifica nel testo passata senza troppo clamore, apparentemente di poco conto nell’accesissimo dibattito tra pro-life e pro-choice, risulta in realtà un grandissimo passo avanti nell’attuazione di una legge che, dopo quarantadue anni, ancora fatica a trovare un’unanime accoglienza.



È lunedì 22 maggio 1978 quando, a firma del Presidente della Repubblica Giovanni Leone, vengono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale le “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”: ventidue articoli che sanciscono e regolano ufficialmente la possibilità di accesso all’aborto entro 90 giorni dal concepimento.[1] La legge n. 194 si presenta come un punto fermo, una risposta definitiva a un dibattito che da anni agitava le fila del Parlamento. Un dibattito non soltanto politico riguardante l’etica, la giustizia, la religione, i diritti e soprattutto l’emancipazione di un’intera categoria di persone che veniva ad essere finalmente tutelata nel rispetto della sua autonomia e libertà di scelta.



 

Una lunga battaglia Nonostante l'aborto sia quanto di più radicato nella storia dell'uomo, una pratica presente sin dall'antichità, fino a meno di cinquant’anni fa non vi era alcuna legge che lo rendesse sicuro, accessibile e legale. Migliaia di donne erano costrette a rischiare la vita ogni anno per affrontare l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), sotto gli occhi delle istituzioni che sembravano non vedere la necessità, l'umanità e l'importanza di tale pratica.


Le prime voci a squarciare il silenzio dello Stato si alzano negli anni Sessanta, con tutta la forza acquisita nelle rivoluzioni del ’68, e vedono i movimenti femministi, radicali e giovanili di un gran numero di nazioni in tutto il mondo lottare per l’abolizione del reato di aborto. [2]

Nel 1975, mentre negli Stati Uniti e in Europa proliferano leggi che permettono l’aborto volontario, Adele Faccio, fondatrice del Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto) grida con forza la sua autodenuncia, andando incontro a 36 giorni in carcere per aborto volontario. [3] Come lei, poco tempo dopo altre 236 donne vengono incriminate con l’accusa di essersi sottoposte a un’interruzione volontaria di gravidanza in uno studio ginecologico di Trento.

Di fronte alle proteste di migliaia di cittadin*, alle 700.000 firme raccolte per un eventuale referendum abrogativo, alle istanze di numerose fazioni politiche come il Partito Radicale, il Partito Repubblicano e quello Liberale, nonché il Partito Socialista Italiano e, in ultimo, persino il Partito Comunista Italiano, anche in Italia si rende evidente la necessità di un cambiamento.





Legge 194/78


Ecco che dopo anni di retorica proibitiva, di aborti clandestini che risultavano non solo estremamente pericolosi, ma anche non accessibili a tutte, costosi, nonché punibili con l’incarcerazione sia per l’esecutore che per la donna stessa [4], la legge n. 194 decriminalizza definitivamente la pratica dell’aborto, abrogando gli articoli 56 (e seguenti) del Codice Penale.


Il testo della legge si sviluppa attorno alla spiegazione di modalità, responsabilità e restrizioni nell’attuazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, con particolare attenzione alla prevenzione dell’aborto e delle condizioni socio-economiche che lo rendono una necessità. A questo proposito, viene definito il ruolo dei consultori e delle strutture socio-sanitarie, dei medici e del personale sanitario che, trovandosi coinvolto nella pratica, ha il dovere di rispettare in ogni modo la dignità personale della donna, fornendole gli accertamenti medici e le cure necessarie.


Obiezione!


Secondo la Relazione del Ministro della Salute trasmessa al Parlamento il 9 giugno 2020, che fa riferimento al periodo del 2018, il tasso di abortività è in costante diminuzione, tra i più bassi a livello internazionale. [5] Tuttavia, la notizia potrebbe non essere positiva quanto sembra, se si considera l’altissimo tasso di obiettori di coscienza nelle strutture ospedaliere nazionali, dove 7 ginecologi su 10 sono obiettori [6]. Le ragioni della ridotta tendenza a ricorrere all'IVG in Italia sono da ricercarsi, infatti, anche nel panorama socio-culturale in cui tale pratica si inserisce.


Autorizzati dall’art. 9 della legge 194, infatti, numerosi medici scelgono di rifiutarsi di interrompere la gravidanza, per motivi religiosi o personali, in condizioni in cui la madre non è in pericolo di vita. Molte donne sono dunque costrette a spostarsi, spesso anche di regione in regione, per cercare di veder garantito il loro diritto. [7] Oltre ad aumentare la difficoltà di accesso al diritto ad abortire, le lunghe procedure previste da una legge ormai troppo paternalistica non fanno che aumentare ulteriormente lo stigma e la colpevolizzazione della donna che decide del proprio corpo e del proprio futuro.

Similmente, l'ospedalizzazione forzata delle pazienti, in netto contrasto con le modalità previste negli altri paesi europei dove l'aborto farmacologico in day hospital o persino a domicilio è ormai la prassi più frequente, riduce l'effettiva applicabilità della legge, diminuendo al contempo il grado di indipendenza e autodeterminazione di chi intende sottoporsi all'IVG. La percentuale di donne che in Italia ricorrono ad aborto farmacologico (15%) è infatti decisamente inferiore a quella di nazioni come Inghilterra (60%), Portogallo (65%) e Svezia (90%).


Ecco perché la recente modifica che elimina l'obbligo di ricovero in casi di aborto farmacologico a livello nazionale risulta un'importante conquista: l'aborto farmacologico tramite l'utilizzo della pillola RU486 non è solo più sicuro, meno invasivo e rischioso di quello chirurgico, ma porta con sé anche una maggior possibilità di affermare il proprio diritto e le proprie scelte riproduttive senza dipendere da un sistema ancora troppo giudicante. La decisione del Ministro Speranza, che segue il parere favorevole del Consiglio Superiore di Sanità in merito all'uso della pillola abortiva, appare come un passo importante anche di fronte alla recente decisione della giunta regionale umbra di reintrodurre il ricovero di tre giorni in caso di aborto farmacologico, che non si sarebbe inoltre dovuto considerare operazione d'emergenza durante l'emergenza sanitaria dovuta al Covid-19. [8]


Quarantadue anni dopo la promulgazione della legge il percorso per accedere ad un’interruzione volontaria di gravidanza è, dunque, ancora complesso. La moralità dell’aborto stesso è ancora al centro di un dibattito che vede alcuni opporsi fermamente alla legge e impedirne indirettamente l’attuazione, ed altri combattere invece per migliorare le condizioni della sua applicazione. Pertanto, ora più che mai assumono significato le parole attribuite alla scrittrice e filosofa francese Simone de Beauvoir, che figura altresì tra le firmatarie del "Manifesto delle 343" [9], che così ammonisce:


“Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica,

 economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione.

Questi diritti non sono mai acquisiti.

 Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita.”


Referenze







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