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Immagine del redattoreEva Prodi

Breve (ma intensa) storia dei femminismi.

Aggiornamento: 28 mar 2021

L’assunto apparentemente contraddittorio da cui questo articolo si snoda è che non si può parlare di “femminismo”. Odiare il femminismo non significa nulla. Amarlo nemmeno. Innanzitutto perché non esiste un femminismo. Sarebbe meglio infatti parlare di femminismi, declinare il termine al plurale per riconoscerne la denotazione multidimensionale, multiforme, geograficamente e storicamente frammentata. I femminismi differiscono infatti per ondate, contesti, istanze e richieste tanto che la loro storia non si può ridurre a poche pagine. Ciò che è certo, però, è che tutti i femminismi sono fatti da persone, pensati collettivamente in una dimensione che amplifica le voci oppresse e chiede giustizia sociale, prima che individuale. Sulla base di queste premesse possiamo dunque iniziare un breve percorso nella storia dei femminismi. Non mettetevi troppo comodə, ché i femminismi non lo sono mai stati.


È il 1948 quando a New York si organizza la Seneca Falls Convention. Considerata poi il momento di inizio del femminismo moderno, la Convenzione rappresenta uno dei primi momenti di incontro che vede un gruppo di donne parlare della loro condizione sociale, religiosa, politica.

Più di cent’anni dopo, nel 1949, Simone De Beauvoir scrive Il secondo sesso, che consacra le teorizzazioni femministe divenendone un manifesto che ancor oggi è utilizzato. Queste sono le date che più frequentemente si ricordano quando si parla degli albori dei femminismi. Tuttavia, è altrettanto importante inquadrare i movimenti all’interno di un processo sociale ben più ampio, che soprattutto non comprenda soltanto il contesto occidentale né solamente le teorizzazioni accademiche.

Il concetto di genere e il determinismo biologico dei ruoli assegnati a donne e uomini inizia ad essere messo in discussione ben prima che se ne intravedano le implicazioni. L’incontro con società diverse, poi elaborato in specifici studi etnografici di cui citiamo Malinowski e Mead, mostrava organizzazioni di genere differenti dagli standard a cui il mondo occidentale era abituato, ne evocava l’inadeguatezza. Mentre i modelli di maschilità e femminilità si scardinavano e l’essere umano si collocava più attivamente nella dimensione politica e sociale – la rivoluzione francese e la nascita della sociologia sono solo due dei fattori principali di questo cambiamento – le donne comprendevano di dover e poter combattere un sistema in cui invece non potevano votare, partecipare alla vita pubblica, decidere del proprio corpo, accedere al mercato del lavoro e un numero di altre istanze che dimostrava l’ingiustizia e la disuguaglianza.

Ecco che la prima ondata di femminismi coincide con la richiesta del suffragio universale, con l’acquisizione delle minime formali condizioni di uguaglianza. Ormai però il cambiamento era iniziato e non accennava a voler cessare. Dopo la Seconda guerra mondiale e l’acquisizione del diritto al voto nella maggior parte dei paesi occidentali – ricordiamo il primo voto con suffragio universale del 1946 in Italia – il tessuto sociale è ancora in fermento, i movimenti sociali radicali recuperano la loro forza fino a fondare, negli anni sessanta, il Movimento di Liberazione della Donna. È di questi anni la seconda ondata femminista, anche detta femminismo della differenza, proprio per la convinzione radicata e radicale dell’esistenza di una profonda differenza tra uomo e donna, la cui rivendicazione avrebbe portato all’uguaglianza. Sono di questi anni anche le lotte per l’aborto, il divorzio, l’abolizione del delitto d’onore che portano, tra gli anni Settanta e Ottanta, alla giurisprudenza di cui ancora oggi disponiamo. Il pensiero femminista infatti non si ferma alla strada, alla piazza, al collettivo ma raggiunge l’accademia, le istituzioni, si formalizza ed entra a far parte dell’agenda politica sul piano nazionale e internazionale. Si fa riferimento infatti al Decennio delle Donne delle Nazioni Unite per descrivere quel periodo dal 1975 al 1985 in cui si moltiplicano gli approcci femministi e il femminismo occidentale viene finalmente in contatto con i movimenti femministi non occidentali.

Si inizia dunque a parlare di sorellanza globale ma si riconoscono altresì i differenti livelli di oppressione sofferti dalle donne che abitano altre zone del mondo. Emerge quindi il concetto di intersezionalità, a ribadire l’importanza di considerare la convergenza tra più categorie di oppressione e la necessità di estendere la lotta femminista a tutte le disuguaglianze che ne condividono le cause. Il femminismo della terza ondata riflette dunque sui diversi gradi di oppressione, sulla disparità salariale e di accesso al mondo del lavoro ma anche sulla liberazione sessuale e la libertà riproduttiva per le donne. Questa ondata, anche definita come femminismo accademico, vede fiorire una molteplicità di studi sul genere e sulla sua produzione sociale. Viene pubblicato nel 1990 il libro Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity di Judith Butler, testo essenziale per una nuova visione di genere al di là del binarismo. Pochi anni dopo Oyèrónkẹ́́ Oyĕwùmí pubblica The invention of Women, scardinando ulteriormente le categorizzazioni occidentali di genere e dimostrandone altresì il potenziale distruttivo. Il pensiero femminista abbraccia dunque sempre più le istanze queer, della comunità LGBTQ+ e delle soggettività che fuoriescono dalla eteronormatività patriarcale. Eccoci dunque alla quarta ondata, con cui la maggior parte dei movimenti femministi contemporanei si identificano: transfemminista, intersezionale, queer.


Referenze


Butler, J., Undoing Gender (2004) New York: Routledge, 2016.


Connell, R., Questioni di genere (2009), Il Mulino, Bologna.


De Beauvoir, S., Il Secondo Sesso (1949), Gallimard, Parigi.


Oyeronke, O., The Invention of Women, Making an African Sense of the Western Gender Discourses (1997), University of Minnesota Press.


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