Il 3 settembre 2020 è ricorso il trentottesimo anniversario dall’omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nel settembre del 1982 Dalla Chiesa era tornato in Sicilia da pochi mesi, la sua terza discesa nella regione. Il primo approdo in Sicilia da militare fu nel 1949, dopo due anni di servizio in Campania. Nello scenario post-bellico della regione il suo impiego principale riguardò la lotta al banditismo, definibile come la forma primordiale di quella criminalità organizzata oggi conosciuta come Mafia. (I) L’attività di Dalla Chiesa in Sicilia, tra il 1949 e il 1952, si svolge principalmente nel Corleonese, zona difficile in cui da diverso tempo l’azione di bande organizzate andava a intensificandosi. Emblematico caso del periodo è la scomparsa del sindacalista Placido Rizzotto: sarà il capitano Dalla Chiesa, infatti, a giungere a una formale accusa di omicidio nei confronti di Luciano Liggio, che inizierà così la sua lunga latitanza. (II) Poco fruttifera sarà però l’indagine ai fini della giustizia, venendo Liggio sciolto da ogni accusa nel 1952 per insufficienza di prove. Il posto di Placido Rizzotto viene quindi preso dal sindacalista Pio La Torre, e per una triste coincidenza sarà proprio l’omicidio di questi a riportare Dalla Chiesa in Sicilia nel 1982.
L’isola torna ad essere casa per Carlo Alberto Dalla Chiesa negli anni sessanta, quando tra il 1966 e il 1973 è colonnello al comando della Legione di Palermo. La mafia, le famiglie, hanno cambiato faccia, adeguandosi al mutare dei tempi e degli eventi, con il passaggio da un mondo ancora prettamente agricolo all’ingresso nelle fabbriche, negli appalti e nei vari nuovi appetiti possibili che il boom economico ha contribuito a generare. Ma la criminalità organizzata, pur mutando nei suoi risvolti economici, non cambia il nucleo intimo, quello legato alla Famiglia, ai rapporti interpersonali, alle ritualità. Nel 1972, prossimo alla fine del suo servizio in Sicilia, Dalla Chiesa dice, parlando davanti alla commissione antimafia: “[…] la genealogia di ciascun mafioso ci porta invece a stabilire chi ha sposato il figlio del mafioso, con chi si è imparentato, chi ha tenuto a battesimo, chi lo ha avuto come compare di matrimonio; e tutto questo è mafia, è propaggine mafiosa (...) ... è molto più efficace seguire i mafiosi così, cioè non attraverso la scheda solita del ministero dell'Interno, ma da vicino, attraverso i figli, attraverso i coniugi dei figli, attraverso le provenienze". (III) Il metodo Dalla Chiesa supera la burocrazia, gli schedari per entrare nelle vite e nelle case degli uomini di mafia, negli alberi genealogici e in quei matrimoni, forse non tutti d’amore, che parlano più di quanto i loro protagonisti non vorrebbero.
Più al nord, però, lo Stato ha un nuovo nemico; il terrorismo che si fa strada nei primi anni settanta, pronto a cercare la rivoluzione e sovvertire l’ordine costituito. Dalla Chiesa risale la penisola, arriva a Torino e viene nominato comandante della 1ª Brigata Carabinieri, con un raggio di azione che comprende tutto il nordovest, Liguria, Piemonte e Valle D’Aosta. L’esperienza siciliana lo aiuta, il metodo usato contro la Mafia funziona anche contro le Brigate Rosse e gli regala numerosi successi fin da subito. (IV) Il 1978 cambia la sua vita personale, perde improvvisamente la moglie Dora, e quella di tutto il paese, con il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro. I tre anni successivi Dalla Chiesa li passerà a Milano, al comando della divisione Pastrengo, e da lì sferrerà i colpi finali alle Brigate Rosse, grazie anche ai primi terroristi pentiti. (V)
Il 1981 finisce, per il Generale, con la nomina a vice comandante generale dell'Arma, ma passano solo pochi mesi prima della sua nomina a prefetto di Palermo, che lo pone in congedo dall’arma. È l’aprile del 1982, da pochissimo è stato ucciso Pio la Torre.(VI) L’indirizzamento in Sicilia per la terza ed ultima volta si accompagna alla promessa, da parte del Ministro degli Interni Virginio Rognoni, di poteri speciali allo scopo di vedere contro Cosa Nostra gli stessi risultati avuti contro le BR. I tanto decantati poteri speciali Carlo Alberto Dalla Chiesa non li vedrà mai, benché continuerà a chiederli per tutti gli ultimi mesi della sua vita. L’estate del 1982, in Sicilia, è un’estate faticosa: la guerra di Mafia è esplosa in tutta la sua potenza, e le strade dell’isola si coprono di sangue. Dalla Chiesa denuncia in un’intervista a Giorgio Bocca(VII) il cambiamento geografico della criminalità organizzata locale, che sta pian piano abbandonando il solo palermitano allargandosi verso Catania e da Catania tornando a Palermo, ma le sue parole provocano una polemica che arriva sino al governatore della Regione Siciliana, che chiede al Prefetto di scusarsi pubblicamente per aver dato giudizi non sostenuti da prove certe.
La sera del 3 settembre 1982, alle 21:15, la macchina su cui viaggia viene affiancata da un BMW, che spara diversi colpi di AK-47 verso Dalla Chiesa e la seconda moglie, Emanuela Setti Carraro, sposata pochi mesi prima. Nell’attentato perde la vita anche Domenico Russo, agente di scorta di Carlo Alberto dalla Chiesa, che perisce il 15 settembre, meno di due settimane dopo la sparatoria. Il giorno successivo all’agguato appare in Via Isidoro Carini, il luogo dell’uccisione di Dalla Chiesa, della moglie e dell’agente di scorta, la scritta «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti.>> Per l’omicidio sono stati giudicati mandanti i boss Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci, condannati all’ergastolo, mentre solo nel 2020 vi sono state le condanne per gli esecutori materiali: due ergastoli, per Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, e quattordici anni di reclusione l’uno per Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci. La stessa sentenza di condanna del 2020 dichiara, dopo anni di discussione sul ruolo dello Stato e della – forse omessa- protezione fornita al prefetto che «Si può senz'altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d'ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all'interno delle stesse istituzioni, all'eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale (VIII)
Referenze
(III) carabinieri.it/arma/curiosita/non-tutti-sanno-che/d/dalla-chiesa-carlo-alberto
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