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“Ci rubano il lavoro!”

Aggiornamento: 19 set 2020

La migrazione è uno dei più antichi fenomeni inerenti alla natura umana. Le genti si sono spostate per le più diverse ragioni fin dall'inizio dell'esistenza umana, ben prima dei processi di civilizzazione e urbanizzazione. Nonostante in passato vi siano stati molteplici dibattiti su questo argomento, la migrazione è ancora uno dei temi più discussi in molte nazioni del mondo. La migrazione è, quindi, un punto cruciale e caldo in molti dibattiti politici di oggi. In alcuni paesi, tra cui l’Italia, questo fenomeno è diventato il cavallo di battaglia di diversi partiti politici, che stanno basando la loro intera campagna elettorale sul fomentare odio nei confronti di una categoria che tende ad avere meno voce in capitolo. Forse perchè diversi o addirittura di un altro colore, gli immigrati sono spesso visti come un potenziale pericolo per la popolazione autoctona. Molti, infatti, attribuiscono alla competizione tra i nativi ed i migranti la mancanza cronica di lavoro nella realtà italiana con la nota frase questi ci rubano il lavoro”. In questo articolo intendiamo studiare la migrazione proprio tramite questo ultimo punto, cioè attraverso la lente del lavoro e di conseguenza della povertà. Per effettuare questa analisi utilizzeremo i dati dei migranti sul territorio, sul loro livello di educazione e sulle loro opportunità nel mercato del lavoro.


Prima di addentrarci nell’analisi della situazione è fondamentale comprendere due importanti concetti che caratterizzano il fenomeno delle migrazioni: integrazione e segregazione. Nel caso specifico dell'immigrazione in Italia, l'integrazione è vista come l'inserimento della popolazione immigrata nell'ambiente sociale ed economico della società italiana. L'integrazione, nella maggior parte dei casi, deve essere favorita da iniziative governative, ma quando questo non avviene potrebbe sorgere il problema opposto: la segregazione. In questo caso, con diverse gradazioni, si crea una linea divisoria percepita o reale tra nativi e migranti che si estende a diverse componenti del vivere quotidiano. Tali divisioni, con il sorgere dei ghetti, si stratificano urbanisticamente ed il distinguo spaziale diviene un attributo della vita quotidiana. Storicamente, in molti paesi del mondo, all’aumentare della segregazione si è osservato un aumento delle disuguaglianze socio-economiche. Una popolazione non integrata tenderà ad avere redditi più bassi e trovarsi più frequentemente in situazioni di povertà.


Come si può misurare il livello di integrazione in Italia? In questo articolo, come anticipato precedentemente, utilizzeremo la letteratura di diversi articoli per analizzare tre variabili specifiche: il territorio, l'istruzione e il mercato del lavoro (Mariani et al, 2020) (I).


Il livello territoriale, quando diverse persone sono allocate in un paese, è fondamentale per capire se i diversi gruppi (per esempio nativi e migranti) sono geograficamente integrati o meno. Se costantemente su tutto il territorio, i nativi e gli immigrati tendono a vivere separati e in aree diverse può sorgere il fenomeno della balcanizzazione, cioè la frammentazione di una regione in regioni più piccole connotate da gruppi diversi e separati (Mariani et al, 2020). Ma come è possibile calcolare il livello di segregazione degli immigrati in Italia? Mariani et al (2020) effettuano questa stima analizzano il Duncan Segregation Index (II). Questo indice varia tra 0 (assenza di segregazione) e 1 (segregazione completa). Nel contesto italiano il livello di segregazione è pari a 0,26, quindi è presente una segregazione tra autoctoni e migranti, anche se non a livelli critici. Territorialmente, i migranti tendono a vivere più concentrati rispetto alla popolazione italiana. Per esempio, i sudamericani e gli asiatici tendono ad essere particolarmente concentrati territorialmente, con quasi il 90% della popolazione che vive solo nel 20% dei comuni (Mariani et al, 2020). Questa situazione chiaramente favorisce la creazione di ghetti e comunità poco integrate con la popolazione autoctona.


Anche l'analisi del capitale umano in diversi gruppi di persone può darci un'idea dello sviluppo del processo di integrazione. In particolare, il divario educativo tra nativi e immigrati ci può aiutare a comprendere il quadro completo di questo complesso fenomeno. Le differenze nei livelli di istruzione di certo non favoriscono pari opportunità nel futuro mercato del lavoro e tendono a rallentare il processo di integrazione in Italia (Mariani et al, 2020). Diversi scrittori ed economisti analizzando il sistema educativo italiano hanno evidenziato la presenza di grandi differenze tra immigrati e nativi. Per esempio, Di Liberto (2015) (III) scrive che i bambini immigrati tendono ad avere un rischio maggiore di abbandonare la scuola e di conseguenza hanno meno opportunità nel mercato del lavoro. Queste categorie sono quindi più soggette all'esclusione sociale e alla povertà. Altro aspetto importante, da non trascurare, è la distribuzione degli studenti nativi e immigrati nelle scuole superiori. Questa risulta fortemente disomogenea. Gli studenti non autoctoni sono generalmente iscritti alle scuole tecniche o professionali (66% nel 2017/2018) mentre i nativi tendono ad essere iscritti ai licei. Difatti nel 2017/2018 circa il 55% degli autoctoni frequentava questo tipo di liceo superiore (gli immigrati solo il 34% per la prima generazione e il 39% per la seconda generazione). Interventi nel campo dell'istruzione sono assolutamente necessari. Le differenze tra italiani e immigrati sono notevoli e non diminuiranno senza investimenti e regolamentazioni in questo senso. Come detto in precedenza, le differenze nel campo dell'istruzione offrono opportunità di lavoro ineguali in futuro; risulta quindi difficile sviluppare un processo di integrazione se gli immigrati tendono a non avere le stesse opportunità sul mercato del lavoro dei nativi.


Un terzo modo per analizzare il livello di integrazione in Italia è quello di guardare all'occupazione degli immigrati. In media gli immigrati tendono a concentrarsi in posti di lavoro poco qualificati, in genere nel settore agricolo e domestico. I lavoratori immigrati non hanno un tasso di occupazione più basso rispetto ai nativi, ma sono generalmente più segregati nei lavori manuali. Lo status socio-professionale più basso degli immigrati non è dovuto alla scarsa istruzione, ma piuttosto alle possibilità di accesso a determinati lavori. In Italia, anche a causa di una larga fetta di economia sommersa, gli immigrati hanno un facile accesso a lavori poco qualificati, mentre incontrano serie difficoltà ad accedere a lavori più qualificati o non manuali (Fullin e Reyneri, 2011) (IV). Un altro paper scientifico molto importante è quello di D'Agostino et al (2016) (V). Gli autori mostrano che le disuguaglianze, nel mercato del lavoro, nascono principalmente a causa delle differenze di reddito. Oltre alle differenze tra le molteplici comunità di immigrati, sarebbe importante affrontare anche le variazioni di reddito intracomunitario, poiché ogni comunità ha diversi gradi di disuguaglianza. Per favorire il processo di integrazione, queste disuguaglianze di reddito intracomunitario devono essere ridotte attraverso l'utilizzo di specifici programmi per arginare la povertà. A questa situazione si aggiunge il fatto che negli ultimi anni si è registrato un evidente passo indietro nel processo di integrazione nel contesto italiano. Infatti, da diverse analisi, le seconde generazioni sono state più integrate nel 2007 che nel 2012 (Ceccarelli et al, 2014) (VI).


Nel complesso è emersa l'urgenza di ridurre le forti differenze sui tre piani analizzati per ridurre la segregazione e la povertà di questa minoranza, troppo spesso poco tutelata. La mancanza di integrazione al livello territoriale porta alla formazione di ghetti. Inoltre, sarebbero necessarie specifiche manovre economiche per ridurre le disuguaglianze nel segmentato mercato del lavoro italiano e nei percorsi formativi dei giovani e degli immigrati. La politica dovrebbe prendere seriamente in considerazione il problema della mancanza di pari opportunità nella formazione educativa e sul mercato del lavoro, non solo dal punto di vista economico e sociale, ma soprattutto perché la creazione di minoranze povere e svantaggiate va contro la morale di uno Stato che auspica pari opportunità. Ma tanto “che ce frega, no?”, gli immigrati sono pagati per non fare niente, sporcano, puzzano, ci rubano il lavoro e magari aumentano pure il debito pubblico.

Vi vogliamo però lasciare con una domanda: ma in fin dei conti, siamo davvero sicuri che il problema dell’Italia siano gli immigrati e non le persone che la abitano da più di un secolo a questa parte? (VII)



Referenze


(I) Mariani, Rama Dasi, Alessandra Pasquini, and Furio Camillo Rosati (2020). “Elementary facts on Italian immigration. What do we know about immigration and its impact in Italy?”. University of Rome “Tor Vergata”, CEIS (Centre for Economic and International Studies).


(II) Duncan Segregation Index:


(III) Di Liberto, Adriana (2015). “Length of stay in the host country and educational achievement of immigrant students. The Italian case”. International Journal of Manpower, Volume 36, Issue 4.

(IV) Fullin, Giovanna, and Emilio Reyneri (2011). “Low Unemployment and Bad Jobs for New Immigrants in Italy”. International Migration, Volume 49, Issue 1, pp 118-147.


(V) D’Agostino, Antonella, Andrea Regoli, Giancarlo Cornelio, and Fabio Berti (2016). “Studying Income Inequality of Immigrant Communities in Italy”. Social Indicators Research, Volume 127, Issue 1, pp 83-100.


(VI) Ceccarelli, Claudio, Giovanni Maria Giorgi, and Alessio Guandalini (2014). “Is Italy a melting pot?”. Rivista Italiana di Economia Demografia e Statistica, Volume 68, Issue 3/4.


(VII) Cinque Riccardo, "The macroeconomic and social impact of migration on the Italian system", 2020.

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