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La crisi migratoria che ha a che fare con il clima

Aggiornamento: 31 gen 2022


Gli essere umani sono da sempre agenti della migrazione e del clima. Tradizionalmente la politica ha considerato i due ambiti d’azione come compartimenti stagni, ma proiezioni, studi e la stessa realtà attuale evidenziano un legame non trascurabile tra crisi climatica e migrazione. Alle falde di questo rapporto complesso ci sono complessi mutamenti idrogeologici ed atmosferici da noi innescati.


L’aumento vertiginoso della quantità di gas serra nell’atmosfera ha portato ad una concentrazione senza precedenti almeno degli ultimi 400 mila anni (I). Trattenendo energia nell’atmosfera sotto forma di calore, i gas serra alterano le condizioni climatiche: i ghiacci si sciolgono, i deserti avanzano, le catastrofi naturali si fanno più frequenti, le zone aride diventano più aride, quelle umide ricevono ancora più precipitazioni. Semplificando molto, ogni azione individuale che compiamo lascia un'impronta ecologica. La somma di queste azioni ha effetti sulla nostra vita, ci coinvolge e orienta le nostre scelte: la migrazione è talvolta una di queste scelte o ancora meglio, una strategia di adattamento al cambiamento climatico (II).


Una dinamica simile coinvolge i cosiddetti “servizi ecosistemici”, quelli che ci vengono garantiti dal pianeta, come aria pulita (fotosintesi) e cibo (impollinazione e ciclo dei nutrienti) che oggi vengono a mancare in zone particolarmente sensibili al cambiamento climatico (III). Per coloro che vi abitano questi deficit riducono drasticamente le capacità di sussistenza, e ciò ha effetti a cascata sulle scelte migratorie a corto e lungo raggio, alimentando meccanismi di trasformazione territoriale che spostano la pressione su nuove economie e nuovi ecosistemi. Nascono così quelli che L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) definisce, in modo abbastanza controverso, i migranti ambientali, ossia:


"persone o gruppi di persone che, perlopiù a causa un improvviso o progressivo cambiamento nell’ambiente che influenza in modo avverso le loro vite o le loro condizioni di vita, sono obbligate o scelgono di lasciare le proprie case, in modo temporaneo o permanente, e che si muovono all’interno del proprio paese o vanno all’estero”.

La definizione è volutamente ampia e flessibile ed include : -la natura del movimento: migrazioni volontarie o forzate (sfollamenti) -l’innesco climatico della migrazione: eventi a rapida insorgenza (calamità naturali come terremoti,alluvioni ed eruzioni) ed eventi a lenta insorgenza (desertificazione, deforestazione). -fattori temporali:movimenti temporanei o permanenti -fattori geografici: migrazioni locali (all’interno dei confini di uno stato) e transfrontaliere (spostamenti da uno stato all’altro).

L’ampiezza della nozione di migrante ambientale riconosce che gli effetti del cambiamento climatico sono diversi, e agiscono diversamente attraverso le regioni della terra. Tra proiezioni stimate e modelli, seppur con un certo grado di variabilità, gli studi suggeriscono che l’aumento delle temperature medie a livello globale porterà ad una “estremizzazione” delle attuali condizioni climatiche. Per questo,

Se oggi sono i paesi industrializzati ad incidere maggiormente sulle emissioni (circa l’86%), in futuro saranno soprattutto i più poveri (9% della popolazione, 0.5% delle emissioni) a farne le spese (IV).

Conseguentemente, le migrazioni ambientali interesseranno soprattutto i paesi che hanno meno risorse economiche, politiche e sociali per farvi fronte. Guardando poi ai dati sugli sfollati interni, cioè coloro che abbandonano la propria abitazione per calamità naturali, guerre e persecuzioni restando entro i confini nazionali, questa tendenza è visibile già oggi. I dati che l’Internal Displacement Monitoring Center raccoglie ogni anno (Figura 1) ci dicono che

Nel solo 2018 ci sono stati 28 milioni di sfollati interni e che 17.2 milioni di questi (circa il 61% del totale) sono scappati da disastri naturali.

Figura 1. Numero di sfollati e cause dello spostamento. Fonte: IDMC | GRID 2019 | Global Report on Internal Displacement 2019 (V)


Molti di questi fuggivano da calamità naturali, violenze e guerre verificatesi in Africa Subsahariana, nella regione del Sahel, dove le temperatura media cresce ad una velocità 1.5 maggiore rispetto al resto del mondo e dove l’80% del territorio coltivabile è degradato (VI).

Guardando ai prossimi 30 anni, poi, un rapporto pubblicato dalla Banca mondiale nel 2018, intitolato “Groundswell: Preparing for Internal Climate Migration”, stima che

Entro il 2050 gli effetti del cambiamento climatico in atto nelle tre regioni più densamente popolate al mondo, l’Africa sub-sahariana, l’Asia meridionale e l’America Latina, porteranno allo sfollamento interno di oltre 140 milioni di persone.

Il flusso migratorio interno, da qui al 2050, potrebbe così riguardare 86 milioni di persone in Africa sub-sahariana, 40 in Asia del Sud e 17 milioni in America Latina (VII e VIII).


In paesi dove l’agricoltura è un settore cruciale che fornisce lavoro e sostentamento alla maggior parte delle persone, è facile comprendere quanto sia devastante la mancanza di piogge. Secondo gli esperti Antonello Pasini e Stefano Amendola, l’influenza del clima è uno dei principali fattori per i migranti che dall’Africa arrivano in Italia. Si stima che l’80% delle variazioni in questi flussi migratori siano correlate al clima tramite gli andamenti dei raccolti (IX).


L’Africa cambierà molto nei prossimi 100 anni, come possiamo notare nella figura sotto. Vi sono rappresentati scenari per diversi parametri (mostrando percentuali di cambiamento tra il periodo 1970-1999 e 2070-2099): a mostra il cambiamento delle precipitazioni, b dell’umidità, c evaporazione e d il deflusso dell’acqua. Il Nord Africa appare con cambiamenti radicali, diminuzione delle precipitazioni e dell’umidità intorno al 10%. Non solo, le precipitazioni diventeranno più imprevedibili ed irregolari (X, XI, XII), costringendo agricoltori a ricorrere a metodi più costosi per irrigare i raccolti, oppure a spostarsi.

Figura 2. Gli impatti del cambiamento climatico su diversi fattori. Fonte: Dai e colleghi, 2018 (XIII).


Altre zone del Sahel sono già oggi spinte del riscaldamento globale oltre la soglia termica sopportabile dall’organismo. Alcune aree, come le isole nel pacifico, sono a rischio di sparizione. Quelli che oggi sono meravigliosi atolli di spiagge bianche, tra qualche anno rischiano di essere totalmente sommersi, o inondati dal mare tanto spesso da rendere il terreno troppo salato per qualsiasi tipo di coltivazione. Queste persone saranno costrette a migrare altrove, in zone più fortunate.


A causa delle concentrazioni di gas serra il clima cambierà, portando modifiche che costringeranno le persone a migrare: ma la storia non finisce qui. I migranti climatici non sono un mondo a sé stante, ma una realtà che si colloca nella scena mondiale. Difficoltà economiche e spostamenti in massa, persone che si spostano verso le città o all’estero aumentano il malcontento e l’instabilità politica.


Il clima ha un ruolo ben più rilevante di quello che ci aspettiamo nella politica. È stato per esempio il caso nelle primavere arabe, che sono state innescate, tra gli altri fattori, dall’aumento del prezzo del pane. Aumento che era stato determinato principalmente da una stagione particolarmente arida e calda (XIV).

Oltre ad aumentare la probabilità dei conflitti, crisi climatiche ne aumentano la portanza, e accrescono le disuguaglianze.

Ci sono, oltre ai migranti climatici, coloro che invece si trovano intrappolati, incapaci di spostarsi a causa della mancanza di risorse. In questi casi, l’instabilità cresce in modo ancora più veloce nelle aree dove, nonostante le persone soffrano grandi perdite economiche ed umane, queste non posseggono le risorse necessarie a cercare un miglioramento della loro situazione.

I migranti climatici stanno migrando in questo momento, ed aumenteranno nel futuro. Come affrontare questi spostamenti? Agendo su più fronti:

Mitigazione, Adattamento, ed Accettazione.

Occorre far sì che il cambiamento climatico non continui ad accelerare la sua corsa. Dunque agire per Mitigazione: ridurre le emissioni, producendo energia da fonti rinnovabili. Adattamento: trovare o distribuire pratiche di irrigazione più efficienti. Non abbandonare i campi diminuirà la velocità della desertificazione: irrigare significa anche aumentare le precipitazioni grazie ad una maggiore evaporazione. Accettazione: a volte la migliore strategia di adattamento è migrare. In questi casi, risorse economiche sono necessarie per la nuova vita.


Una volta evitata l’eventualità di rimanere bloccati, dobbiamo essere pronti ad affrontare quello che seguirà. Instabilità, difficoltà nell’essere accettati in una nuova società, urbanizzazione, concentrazione di popolazione e sfruttamento delle risorse. Ma anche una diversità maggiore e nuove opportunità di vita. L’uomo migra da sempre, e il clima è, da sempre, uno dei fattori che più influenzano gli spostamenti degli esseri umani. Riconoscere questo fenomeno ci fa capire ancora una volta quanto sia necessario agire per mitigare il cambiamento da una parte, e adattarsi ad esso dall’altra.


Referenze


Ilustrazione: Paul Gaugin, Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, 1897

(X) Ayanlade, A., Radeny, M., Morton, J. F., & Muchaba, T. (2018). Rainfall variability and drought characteristics in two agro-climatic zones: An assessment of climate change challenges in Africa. Science of the Total Environment, 630, 728-737.

(XII) Konapala, G., Mishra, A. K., Wada, Y., & Mann, M. E. (2020). Climate change will affect global water availability through compounding changes in seasonal precipitation and evaporation. Nature communications, 11(1), 1-10.

(XIII) Dai, A., Zhao, T., & Chen, J. (2018). Climate change and drought: A precipitation and evaporation perspective. Current Climate Change Reports, 4(3), 301-312.

(XIV) Lodde, S. (2012). La crisi alimentare e la primavera araba. Tra il nuovo e il vecchio, 119.


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