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Life in plastic, it's fantastic

Aggiornamento: 5 lug 2021

Nel 2007, 3.4 milioni di sfere di plastica nera sono state piazzate a galleggiare sul Silver Lake in California. Una soluzione temporanea per evitare che la luce raggiungesse le acque riempite di cloro per renderle potabili, e si azionasse una reazione che avrebbe reso l’acqua inadatta al consumo (i; ix). Il risultato poteva essere un’opera di arte contemporanea. Dalla nascita di questo polimero, la plastica, il nostro ideale di estetica si è modificato, e le arti plastiche, nate molto prima che il materiale fosse creato, hanno oggi spesso un significato letterale. La plastica forma la moda e l’architettura, l’arte è ingegnerizzata. La plastica agisce da isolante, da barriera invisibile a volte, divide categorie discretamente, si erge in muri di plexiglass.

Foto: Silver Lake Reserve


Nel caso del Silver Lake, la plastica ha evitato lo spreco di tantissima acqua in una regione già severamente colpita dalla siccità. Ma la maggior parte delle volte la plastica che finisce in acqua non porta niente di buono: la tragedia della nave naufragata in Sri Lanka, la MV X-Press Pearl, naufragata ed afondata riversando tonnellate di materiali plastici destinati al packaging in mare, è solo l’ultimo di una serie di esempi della nocività del materiale.


Cos’è la Plastica?

La plastica è un polimero sintetico, ovvero una catena di molecole unite insieme artificialmente, derivato dal petrolio. È economica, versatile, leggera, e ne vengono prodotte 2,82 miliardi di tonnellate all’anno (dati 2015, in netta crescita di circa mezzo Mt/anno), il 19.5% riciclata (dati 2016) (Geyer et al., 2017), e il 10% circa finisce negli oceani.


Fu introdotta nei primi anni del ‘900. Era stata creata perché materiali come avorio e seta erano difficili da ottenere, anche a causa delle sempre più forti resistenze anticoloniali. La plastica è quindi nata con una ragione puramente economica. Non perché fosse “migliore” ma perché poteva sostituire materiali il cui prezzo stava aumentando velocemente e prodotta in quantità sufficienti a soddisfare la crescente fame di consumo della classe media. La plastica è la perfetta materializzazione del capitalismo avanzato: è economica, prodotta su larga scala, facilita il consumo di massa, ed è specchio della nostra dipendenza da combustibili fossili (i).


È chimica, eterna, non puzza, non fa muffa. È la modernità, è separarsi una volta per tutte dal passato e diventare indipendenti da materiali naturali, un mondo di prosperità grazie alla scienza. Ora la plastica è ovunque: prova a guardarti intorno. Conta gli oggetti intorno a te che contengono plastica, scommetto che in pochi secondi ne conterai almeno una decina. Non è così? Forse non hai considerato che la maggior parte dei tessuti sintetici contengono plastiche, così come il rivestimento interno delle lattine, i mozziconi di sigaretta, persino le vernici, le colle, e gli scontrini.


La plastica non si decompone: quando rilasciata nell’ambiente, si spezzetta in pezzi sempre più piccoli, sempre più invisibili, ma rimane parte di noi, per il resto della nostra vita (e quella dei nostri figli, e dei nipoti…). Romantico, no? Quando viene bruciata, invece, come succede nel 26% dei casi (Geyers et al, 2017), produce gas dannosi alla salute e all’ambiente, essendo praticamente un combustibile fossile.

Foto: Bombei


I Rifiuti (non) Sono un Problema di Tutti

Le persone più economicamente disavvantaggiate sono le più esposte ad ogni tipo di inquinamento, dall’aria fino alla plastica. Chi ha più difficoltà ad accedere ad acqua filtrata e regolamentata berrà quella che trova, ingerendo enormi quantità di microplastiche. Le donne, sono particolarmente a rischio per problemi legati all’esposizione a sostanze plastiche, poiché oltre al pesce e all’acqua, anche i prodotti femminili ne sono pieni.


Ovviamente il problema non è solo della plastica, ma di tutta la spazzatura e di come viene gestita. Smaltire i rifiuti costa, e mentre i quartieri ricchi hanno sistemi di raccolta più efficaci, in quelli più poveri i rifiuti a bordo strada sono la norma, così come i cassonetti pieni e ribaltati. Una cosa che non succederebbe mai laddove il prato è tenuto all’inglese. La gestione sanitaria e sostenibile delle discariche e delle acque di scarico è quasi esclusiva dei paesi a medio ed alto reddito [iii], e le disuguaglianze rimangono anche all’interno dei paesi stessi, e anche delle città.


Secondo cittadinanza attiva [v], la maggioranza dei rifiuti urbani in Italia è prodotta nel nord (47,5%) seguito dal sud con il 30,5% e infine dal centro (22%). Tuttavia, la tassa per i rifiuti (Tari), è i media la più alta proprio al sud (349€), seguito da centro (304€), e poi nord (258€).


Dove Finisce la Nostra Plastica?

L’Italia è uno trai paesi che, al mondo, esportano più rifiuti in plastica. Secondo UN Comtrade, più di 83 mila tonnellate della nostra plastica finivano all’estero nel 2019 [ii]. La Cina, nel 2018, ha introdotto una legge per fermare l’importazione di rifiuti all’estero. Questo ha mandato in tilt il sistema di rifiuti mondiale, perché spesso si fa proprio uso di paesi terzi (più poveri, e senza le strutture adeguate a riciclare la plastica) per disfarsi dei proprio rifiuti. Non solo si esporta la pastica, ma anche l’inquinamento che si produce se la si incenerisce, seppellisce, o getta nell’oceano.


Greenpeace ha creato un video molto intelligente sull’esportazione dei rifiuti di plastica da parte del Regno Unito [iii]

La quantità di plastica che ogni giorno il governo spedisce verso l’estero viene scaricata su Downing Street, in testa al Primo Ministro Boris Johnson. Mentre la plastica lo travolge, si vanta di aver vietato cannucce e cottonfioc perché l’ambiente è una priorità per la salute di adulti e soprattutto delle generazioni future. Un modo per rappresentare l’ipocrisia in un minuto e mezzo.


La Direttiva UE sulla Plastica Monouso (SUP)

Una normativa europea ha fatto capolino al telegiornale ultimamente: l’Europa, con dei cambiamenti alle regole per diminuire l’utilizzo di plastica, potrebbe danneggiare l’economia Italiana. Infatti l’Italia occupa gran parte (35%) del mercato europeo della produzione di oggetti come stoviglie e bicchieri di carta, che tuttavia potrebbero essere vietati insieme alle altre plastiche monouso, in quanto contengono, seppure in parti minori, plastiche [iv]. Sono anche comprese nel divieto le plastiche biodegradabili.


L’unione Europea ha creato questa direttiva partendo dalla lista dei 10 oggetti in plastica che si trovano più spesso sulle coste europee, che rappresentano anche il 70% dei rifiuti marini. Le linee guida devonoancora essere tradotte in leggi da molti degli stati europei, ma la direzione sembra quella di una promozione del riuso, seguendo quello che ci detta i principio gerarchico dei rifiuti [vi]. Se tutto andrà fino in fondo (per ora la direttiva europea in Italia resta una bozza), in Europa si potrà evitare la produzione di 3,4 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, e si otterrà un risparmi per i consumatori di 6,5 miliardi di €.

IL MIGLIOR FUTURO è QUELLO NON PRODOTTO

Purtroppo, Il greenwashing è dietro l’angolo, e già si anticipano i modi per girare intorno alla legalità. Greenwashing evento ormai diffusissimo anche e soprattutto proprio in materia di plastica, con Calzedonia che promuove costumi eco-sostenibili e riciclati quando tocca poi ai dipendenti spacchettare ogni articolo dal suo involucro di plastica. La Regione Liguria che, per la Giornata Mondiale dell’Ambiente, ha pensato di distribuire 40 mila euro di acqua in contenitori usa e getta. Presentando un’altra alternativa usa e getta alla plastica monouso invece che promuovere il consumo dell’acqua del rubinetto, e l’uso delle borracce.


Purtroppo, non è tutto così semplice. A volte la plastica è meglio, a patto che venga riutilizzata. Il ciclo di vita di una borsa di cotone, per esempio, ha un impatto ambientale molto più alto di quello di un sacchetto di plastica tenendo conto delle volte in cui entrambi possono essere riutilizzati [vii]. Altre volte riutilizzare e riciclare consumano molta energia e un altrettanto grande numero di sostanza nocive, per cui non ne vale la pena. Sicuramente, consumare meno resta la scelta più sostenibile.




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