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Immagine del redattoreSimone Maria Parazzoli

Povero padre separato

Mi collego alle 21:10, con qualche minuto di ritardo. Sul mio schermo si muovono le facce di una decina di uomini. Sono i Papà separati di Milano. Come tutti i lunedì sera, si riuniscono per aggiornarsi sugli sviluppi delle vicende familiari di ognuno e, soprattutto, offrire ai nuovi membri uno spazio in cui poter raccontare la propria storia, essere ascoltati da chi può capirla, trovare i consigli di chi si è già trovato in una situazione simile. Il primo a prendere la parola è Stefano, un ingegnere che da qualche settimana si è trovato solo in casa, dopo che sua moglie – “ex moglie”, si corregge – ha deciso di separarsi. Cercare di ricucire il rapporto con lei non gli interessa. Gli manca l’affetto dei figli, è per questo che soffre. Il più grande è uscito di casa ormai qualche anno fa e la notizia della separazione l’ha saputa gestire. Con il più piccolo invece, studente alla Statale, Stefano non riesce ad avere contatti. Da quando la madre è uscita di casa anche lui non torna più e ora trova sempre una scusa per evitare il padre. L’unica cosa che Stefano sa, grazie all’assicurazione dell’auto, è che il figlio parcheggia in zona Città Studi. Ernesto – anziano presidente dell’Associazione, ex imprenditore impegnato nella logistica e padre separato dal 1980 – non offre inutili parole di conforto. Si assicura che Stefano abbia il suo numero di telefono e invita Stefano a chiamarlo.


Stefano è il primo di tanti padri separati. Immersi nella palude – così si sente Rached, un nuovo arrivato –, disorientati, senza appigli. Vivono un dramma in cui si sovrappongono difficoltà economiche, emotive, psicologiche. Mancano le parole giuste per le mogli e la relazione coi figli si complica. Non sono pochi i casi di padri che si trovano senza casa, poveri, senza la possibilità di vedere i figli. Ma come ci si trova in queste situazioni? Per capirlo guardiamo alla legge, ma soprattutto alla sua applicazione – la giurisprudenza – e cerchiamo di capire che cosa significhi essere padre oggi.


La prima codifica del diritto di famiglia in Italia è nel Codice civile del 1942. Il Codice impone alla famiglia una struttura gerarchica, in cui il marito svolge la “funzione di capo titolare di ogni potere nella determinazione della conduzione della vita familiare” (1). Nel dopoguerra, il diritto alla famiglia evolve. Negli anni ’70 si afferma la parità giuridica dei coniugi, la patria potestà viene sostituita con la ‘patria genitoriale’ e viene introdotto il divorzio. Nel 2006 viene introdotta la possibilità dell’affido congiunto dei figli, adottando “i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” (l. 54/2006) . Nel 2014 viene superata la divisione tra separazione giudiziale e consensuale introducendo la possibilità di separarsi in via extra-giudiziale: tramite negoziazione assistita dalla presenza di almeno un avvocato per parte o, in presenza di figli minori o incapaci o economicamente non autosufficienti, presso l’Ufficio di Stato (d.l.132/2014). Nel 2015 è stato introdotto il cosiddetto “divorzio breve”, consentendo ai coniugi di pervenire allo scioglimento definitivo del vincolo matrimoniale entro un anno in caso di separazione giudiziale oppure, addirittura, entro sei mesi in caso di separazione consensuale (l. 55/2015). Questi ultimi due provvedimenti hanno contribuito alla semplificazione e velocizzazione dei processi di separazione e divorzio con successo, alleggerendo il carico di lavoro dei Tribunali.


È importante notare che la distinzione tra separazione e divorzio è una peculiarità del sistema italiano che impone il passaggio dallo stato di coniuge separato prima di raggiungere quello di ex coniuge ottenuto col divorzio. Quello che a noi interessa è sapere che il coniuge separato ha la possibilità di ottenere assegno di mantenimento che gli garantisca un tenore di vita come quello precedente alla separazione. L’ex coniuge invece può ricevere un assegno di divorzio qualora riesca a dimostrare che la sua inferiorità economica è dovuta al fatto che l’ex compagno ha potuto progredire nella carriera grazie alle rinunce del primo. Il coniuge separato ha diritto all’eredità anche qualora il defunto l’escludesse dal testamento mentre col divorzio l’ex coniuge perde diritti ereditari. Per capire la situazione dei padri separati bisogna anche sapere che i diritti dei figli sono garantiti allo stesso modo in caso di separazione e divorzio, imponendo ad entrambi i genitori di contribuire economicamente. In generale, la presenza dei figli complica le trattative e, nel caso dei padri separati, è centrale per comprendere i loro bisogni.


I numeri in Italia parlano di un costante calo dei matrimoni a partire dal dopoguerra e di una solida crescita dei divorzi a partire dal 1971 (2). Nel 2019 sono stati celebrati 184.088 matrimoni, il 25% in meno rispetto al 2008, e le separazioni sono state 97.474, il 15% in più rispetto al 2008. Considerando i valori assoluti, possiamo dire che più di un matrimonio ogni due finisce con una separazione. L’85% delle separazioni sono state consensuali e più della metà è avvenuta alla presenza di figli minori. Nel 2018, in quasi il 95% di questi casi si è giunti all’affido condiviso. Il 71% è risultato destinatario di un assegno che nel 97% dei casi viene dalle tasche del padre. Rispetto al totale delle separazioni con figli minori, in quasi 6 casi su 10 la casa è stata affidata alla moglie. In quasi il 22% delle separazioni le mogli ricevono dal coniuge un assegno di mantenimento.


Cosa ci dicono questi numeri? È vero che, rispetto alle donne, gli uomini subiscono maggiori costi assoluti quando si trovano ad affrontare la separazione o il divorzio? Certamente. È questa un’ingiustizia? Non è per nulla evidente. Infatti, il maggior costo in termini assoluti è il risultato della mancata parità economica all’interno delle famiglie italiane: le mogli guadagnano meno dei propri mariti. Ma non è questa la sede per misurare a livello aggregato il grado in cui la disuguaglianza intra-familiare debba essere ricucita con redistribuzione. Qui voglio stare vicino alle individualità di certi padri separati – quelli che si trovano in difficoltà economica, legale, emotiva – che probabilmente, ed è un bene, sono una minoranza del totale. Ma sono bisognosi – così dice Mauro, un attivista –, soffrono, e meritano di essere ascoltati. Soprattutto perché portano sul palcoscenico politico temi complessi, in cui tanti livelli si intersecano in maniera interessante che non permette di trovare risposte facili. Infatti, oltre alle problematiche economiche ci sono quelle legate al rapporto coi figli. E in questo caso, ancor più che in quello economico, l’analisi delle statistiche ufficiali e del quadro legale ci dice poco. Quello che conta è la giurisprudenza, il modo in cui il diritto viene applicato. Per capire il dolore dei padri separati è necessario studiare il ruolo determinante della magistratura che, mettendo in moto una cultura familiare vecchia, insensibile rispetto alle condizioni in cui viviamo, stringe padri moderni in posizioni indesiderabili e smorza gli effetti – desiderabili – dei cambiamenti avvenuti sul piano legale.


“Nelle aule di Tribunale regna incontrastato lo stereotipo materno: i figli devono stare con la madre. È lei, la donna, storicamente, biologicamente, psicologicamente adatta a stare con i bambini” (3). La legge lascia ampi spazi di discrezionalità alla magistratura perché possa essere sensibile alle particolarità di ogni caso, perché possa rispondere adeguatamente alla complessità di ogni separazione o divorzio. Però questa discrezionalità è spesso riempita facendo ricorso a modelli superati, che non tengono conto dei nuovi ruoli dei membri della famiglia a cui corrispondono bisogni diversi da quelli del passato. Ad esempio, nelle sentenze si fa spesso riferimento al diritto naturale della famiglia interpretata come un’organizzazione in cui a farsi carico dei figli deve essere la madre. In una sentenza del 1987 il Tribunale di Rieti scrive “è consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale che in caso di separazione debba essere preferito l’affidamento materno, stante l’insostituibile apporto della figura della madre alla formazione della personalità del minore” (3). Cinque anni dopo, il Tribunale dell’Aquila rifiuta la richiesta di un padre di ottenere l’affido congiunto della figlia quattordicenne perché la ragazzina “sta ancora attraversando quella che comunemente viene definita “l’età ingrata”, nella quale è certamente più utile ed opportuna la convivenza con la madre” e poi perché “non si vedono i vantaggi dell’affidamento congiunto richiesto senza alcuna motivazione” (3). Non si deve pensare che questi siano casi isolati. Infatti, l’ex Presidente del Tribunale dei Minori di Roma Magda Brienza afferma che, la legge sulle questioni familiari legati ai figli “era un’opportunità che i giudici non hanno colto” (3).


Oggi – nonostante crescano in numeri delle sentenze sensibili ai nuovi equilibri familiari – non mancano casi preoccupanti. Tra i padri separati con cui ho potuto parlare c’è Mauro, che ha le carte del tribunale relative all’affido col nome del figlio sbagliato. Il giudice ha scritto la sentenza con un copia-incolla, senza curarsi di controllare che il nome fosse Marco (il nome del figlio di Mauro) e non Tommaso (quello che compare sulle carte). Un altro padre, Carlo, medico di base da 30 anni a Pavia, è in causa con la moglie che ha deciso ormai otto mesi fa di tornare a Potenza e portare con sé il figlio di poche settimane che da due mesi è assistito dai servizi sociali. Dopo che l’avvocato di Carlo ha chiesto di essere messo in contatto con i servizi sociali inviando una mail all’avvocato della madre, quest’ultimo – credendo di scrivere alla sua assistita – risponde alla mail dicendo “domani vai dai servizi sociali e cerchiamo di capire cosa rispondere”, mostrando un rapporto collusivo con i servizi sociali. Infatti, sarebbe sbagliato caricare di responsabilità soltanto i giudici. La macchina della giustizia si muove coinvolgendo anche tanti avvocati, assistenti sociali, psicologi, mediatori che dal conflitto familiare beneficiano in termini economici e sociali


Se arrivati fino a qua siete più o meno convinti del fatto che ci troviamo di fronte a padri impoveriti più del dovuto e, soprattutto, privati della possibilità di partecipare alla vita dei propri figli come legittimamente desidererebbero, una domanda è immediata. Cosa se ne fa la politica di questo dolore? Di questi bisogni? Mauro, un padre separato, ha iniziato a impegnarsi nell’associazione proprio perché, da uomo di sinistra, nei suoi partiti di riferimento non trovava risposte. Alle figure bisognose dei padri, che chiedono di vedere rispettati i propri diritti e non essere calpestati da una giustizia insensibile che li lascia poveri e soli, la sinistra non presta attenzione. Forse per il rischio politico di complicare il discorso di genere, risultando meno impegnata nelle battaglie per la parità tra uomini e donne. In Italia, la destra monopolizza la difesa dei bisogni dei padri separati e si fa voce delle loro richieste. Ma queste richieste sono necessariamente di destra? No. Il pericolo, dal punto di vista di un padre separato di sinistra, è proprio che la difesa di questi temi si sovrapponga e venga intrecciata a una lotta vendicativa che tenti di togliere potere alle donne, rendendo la loro posizione più fragile.


Cosa chiedono i padri separati? Che i Tribunali non impongano loro di pagare assegni ingiusti e di ottenere un effettivo affido condiviso dei figli che permetta di mantenere con loro una relazione continuativa e profonda. Proposte simili erano contenute nel famoso disegno di legge 735 proposto dal senatore della Lega Pillon nel 2018. Il ddl mirava a introdurre (i) mediazione civile obbligatoria in presenza di figli minorenni, (ii) tempi paritari fra genitori, (iii) la possibilità del mantenimento in forma diretta al posto dell’assegno, (iv) contrasto all’alienazione familiare. Se queste misure ci sembrano in linea con le richieste dei padri separati, dobbiamo notare che è chiara una sovrapposizione di interessi: quelli dei padri separati e quelli conservatori. Come hanno fatto notare molti osservatori, infatti, il ddl è insensibile rispetto allo squilibrio di potere politico, culturale, decisionale ed economico all’interno della famiglia. Non tiene conto del ruolo (più) marginale che le donne svolgono nel mercato del lavoro italiano. Inoltre, introducendo l’obbligo di passare attraverso un mediatore, dilata i tempi del divorzio e forza al contatto con un coniuge che alle volte può essere violento, imponendo un’interpretazione conservatrice del matrimonio – inteso come bene da salvaguardare contro il rischio di separazione e divorzio. Rispetto alla violenza domestica, il ddl impone che le condotte abbiano il connotato di ‘sistematicità’ invece che quello di ‘abitualità’, restringendo il campo di applicazione della fattispecie. La proposta di Pillon è una degli ultimi e più noti casi di proposte che possono essere supportate dai padri separati ma che, contemporaneamente, sono imposizioni politiche, morali e culturali che non necessariamente hanno a che fare con la difesa della dignità dei padri. Essere capaci di distinguere le battaglie dei padri separati e quelle dei conservatori non solo è necessario per chi ha una visione progressista della famiglia ma è anche – è bene chiarirlo – possibile. È chiaro che un’eccessiva difesa dei padri verrebbe a danno delle madri e dei figli. Ma la giusta misura può essere trovata.


I padri sono mediamente più ricchi delle madri e, spesso, mantengono questa posizione anche dopo il divorzio. Weitzman – con un errore di calcolo poi ammesso – nel 1985 dichiarava che negli Stati Uniti gli uomini escono dal divorzio con un reddito che cresce del 42% mentre le donne si trovano più povere del 73% (4). Sebbene esagerate in magnitudine, la direzione degli spostamenti di reddito individuata da Weizman era corretta ma molto più ridotta nelle dimensioni e decrescente nel tempo. Braver misura un +2% per gli uomini e un -8% per le donne (5). Questo a conferma del fatto che l’ipotetica abolizione della redistribuzione intra-familiare al momento della separazione non può che essere dannosa per le mogli ma, allo stesso tempo, che le sentenze di Tribunale devono fare i conti col fatto che gli equilibri economici tra marito e moglie stanno cambiando in positivo.


Oltre alla difesa della posizione economica svantaggiata delle donne, la difesa del minore è spesso considerata ragione per preferire che il figlio passi più tempo con la madre. Su questa tematica, sono due le cose interessanti: cosa hanno trovato le ricerche scientifiche a riguardo e qual è il ruolo dei padri di oggi. Vezzetti – pediatra italiano noto per l’impegno a favore della bigenitorialità – sostiene chiaramente che la separazione non vada trattata solamente nei suoi aspetti legali ma anche come un problema di salute pubblica: i figli di genitori separati che perdono i contatti con uno dei due sono colpiti negativamente in termini di salute psicologica e fisica. Sono più propensi ad avere deficit d’attenzione, disturbi alimentari, essere depressi, dipendenti dall’alcol, e tendono ad essere meno istruiti e ad avere un reddito inferiore. La conclusione a cui arriva è che c’è bisogno di fare crescere la quota di figli che, dopo una separazione, vengono affidati ad entrambi i genitori e bisogna fare in modo che con entrambi la relazione possa essere continuativa (6). Ma come comportarsi nel caso di conflitto familiare? In questi casi, i Tribunali italiani tendono ad affidare il figlio ad una delle parti. Ma non sembra essere questa la soluzione ideale. Infatti, l’affido congiunto non è da considerarsi punto d’arrivo ma “the most effective means for both reducing parental conflict and preventing first-time family violence”, come scrive la Conferenza del Consiglio Internazionale per l’affido condiviso del 2014.


La figura del padre è cambiata nel tempo. Gli anni della contestazione hanno portato quella che Quilici chiama rivoluzione paterna per cui “essere padre non basta, si può anche fare il padre: non solo ridursi a incarnare il principio di autorità o contribuire economicamente al sostentamento della famiglia” ma riconoscere che “paternità è anche arricchimento, maturazione comune, gioia, scoperta. E ancora tenerezza, empatia, vicinanza fisica e mentale, calore, odore, incontro di sguardi, carezze. Alcuni tratti tipici della paternità di una volta – come il sostegno economico e il ruolo di intermediario fra la società e la famiglia – si riducono, mentre ne emergono altri storicamente del tutto nuovi” (3). Pensiamo alla tenerezza o alla fisicità, che fa sì che un padre possa voler prendere in braccio il corpo del bambino, condividere con la madre la relazione fisica con la loro creatura. Anche questi sono i padri di oggi, figure con cui i Tribunali devono confrontarsi e che devono saper individuare correttamente. Sono genitori che hanno bisogno di vedere assicurata la relazione coi propri figli dopo la scelta di separarsi. Sono genitori che dal confronto con la giustizia italiana escono troppo spesso sofferenti.


Di cosa c’è bisogno? Di un discorso nuovo sulla famiglia, che sappia coniugare la difesa dei moderni padri separati con quella delle donne. È necessario impegnarsi per salvaguardare la dignità di chi sceglie di separarsi senza però cadere nella vendetta contro le mogli, che sono coloro che per la maggior parte chiedono la separazione. Bisogna essere capaci di innovare la giurisprudenza essendo sensibili rispetto ai nuovi bisogni dei padri e, allo stesso tempo, con la stessa forza, difendere le donne - senza mettere in secondo piano la fondamentale battaglia per la parità di genere.


  1. Giacobbe, G. (2016). La famiglia nell'ordinamento giuridico italiano. Materiali per una ricerca. Torino, Giappichelli Editore.

  2. Istituto nazionale di statistica ISTAT. (2020). “Matrimoni, unioni civili, separazioni e divorzi. Anno 2019”. Roma.

  3. Quilici, M. (2013). Storia della paternità. Dal pater familias al mammo. Roma, Fazi Editore.

  4. Weitzman, Lenore. (1985). The Divorce Revolution: The Unexpected Social and Economic Consequences of Divorce for Women and Children in America. New York, Free Press.

  5. Braver, S. L. (1999). The gender gap in standard of living after divorce: Vanishingly small. Family Law Quarterly, 33(1), 111-134.

  6. Vezzetti, V. C. (2016). New approaches to divorce with children: A problem of public health. Health psychology open, 3(2), 1-13.

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