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Gli elementi della migrazione regolare in Italia

Da sempre consideriamo le categorie come recipienti utili ad ordinare la complessità del mondo. Nella sua essenza di fenomeno particolarmente complesso, la migrazione non fa eccezione a questa regola generale. Riducendo la questione all’osso, oggi la disciplina giuridica del fenomeno migratorio si dirama lungo due direttrici principali: la condizione di regolarità e la sua negazione, l’irregolarità.


Per quel che compete la prima, un migrante è considerato regolare quando è in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato da un'autorità competente ed in corso di validità.

Migrante irregolare è invece chi è entrato nel territorio di uno Stato senza un regolare controllo di frontiera o chi rimane sul suo territorio anche dopo la scadenza del visto o del permesso di soggiorno. Rientra in questo insieme anche chi non si adegua ad un ordine di allontanamento (c.d rimpatrio).

Anche se può suonare paradossale, chiarire la distinzione tra regolarità ed irregolarità ci aiuta a fare luce sulla fluidità del fenomeno. Si può infatti entrare in Italia da regolari e decadere nell’irregolarità durante il soggiorno, mentre per molte ragioni è più difficile che si verifichi il percorso inverso.

E’ cosa nota che il dibattito italiano ed europeo sull'immigrazione si fossilizza per larghi tratti sulla capacità di questo o quel governo di gestire in sicurezza i flussi di irregolari. Proprio per questo, è utile approfondire un insieme di aspetti meno politicizzati, ma non meno utili a dare un giudizio d’insieme, della bontà delle politiche migratorie odierne: le leve di gestione della migrazione regolare.

Cerchiamo di mettere in fila tutti gli elementi.

L’ingresso

Iniziamo con una premessa: qualunque cittadino terzo (cioè non europeo) intenzionato ad entrare in Italia per richiedere un permesso di soggiorno ha bisogno di richiedere un visto, ossia un’autorizzazione concessa allo straniero per l'ingresso nel territorio. In passato, prima della creazione dell’Area Schengen, i visti permettevano al cittadino extracomunitario di circolare liberamente e soggiornare, per un certo periodo di tempo, entro i confini nazionali.


Oggi, invece, lo straniero con un visto in corso di validità può temporaneamente circolare e soggiornare, oltre che in Italia, anche in tutti i 26 paesi che fanno parte dell’Area Schengen, “uno spazio che è per definizione senza controlli alle frontiere esterne”.


Schematizzando le norme vigenti, le autorità consolari italiane possono rilasciare visti Schengen uniformi di breve durata (VSU) e visti nazionali di lunga durata (VN). Come il nome suggerisce, i VSU concedono allo straniero (o al gruppo di stranieri) che ne fa domanda libertà di movimento e soggiorno all’interno dell’area Schengen per un massimo di 90 giorni, con uno o più ingressi compresi in un termine massimo di 180 giorni.


Possono essere richiesti per finalità di transito, viaggio e soggiorno di breve durata.

Quando lo straniero non soddisfa integralmente le condizioni per il rilascio del visto, le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane possono decidere di accordare dei visti a validità territoriale limitata (VTL). Generalmente, i VTL restringono la libertà di movimento e soggiorno ai confini italiani o quantomeno indicano espressamente i paesi Schengen in cui lo straniero ha titolo d’ingresso.


Invece i VN sono validi per soggiorni di oltre 90 giorni, con uno o più ingressi, entro i confini nazionali. La dimensione della durata del visto si incrocia con quella dei motivi per cui è stato richiesto (cd. motivi d’ingresso), dando origine a diversi tipi di “lasciapassare alla frontiera", tra cui spiccano i visti per lavoro (autonomo, stagionale, subordinato), ricongiungimento familiare, cure mediche, turismo e studio.



Il soggiorno.

Il rilascio del visto indica che lo straniero soddisfa i requisiti necessari all’ingresso in Italia contenuti nel Decreto Legislativo 286 del 1998 (cd. Testo Unico Immigrazione) e nel Regolamento UE 810 del 2009 (cd. Codice dei Visti), recentemente modificato dal Regolamento UE 1195 del 2019.

Ponendola in termini semplici, il visto è un’autorizzazione amministrativa che consente di varcare i confini nazionali ed entrare in Italia. Quando lo straniero entra in Italia, sia che intenda o meno (es. visita turistica) stabilirsi, ha bisogno, ai sensi della legge, di una prova documentale aggiuntiva: il permesso di soggiorno. Ottenerne uno consente, tra le altre cose, di condurre una vita dignitosa, permettendo a seconda dei casi specifici: l’accesso ai diritti accordati agli stranieri in Italia, tra cui il diritto all’abitazione, l’accesso a svariate prestazioni previdenziali (maternità, famiglia) e sussidi (disoccupazione, invalidità) oltre che diritti sul lavoro eguali a quelli accordati ai cittadini italiani; l’iscrizione alle liste anagrafiche ed il conseguente rilascio della carta di identità e del codice fiscale, che consentono l’accesso a servizi essenziali come il servizio sanitario nazionale (SSN) e l’apertura di un conto in banca; la possibilità di avviare il percorso per l’acquisizione della cittadinanza italiana.



Il permesso di soggiorno



Sulla falsariga di quanto accade per i visti, anche le richiesta di un permesso di soggiorno è legata alla sussistenza di una delle motivazioni specifiche previste dalla legge italiana.


Anche se ci piacerebbe farlo, riportarle tutte avrebbe come unico effetto quello di alimentare una gran confusione. Quindi, ci limitiamo a delineare le caratteristiche dei permessi di soggiorno connessi al lavoro (autonomo, subordinato e stagionale), al ricongiungimento familiare, ed il meccanismo europeo delle Carte Blu.

A dispetto delle specificità di ogni tipologia, esistono dei tratti comuni ad ogni permesso di soggiorno.

Indipendentemente dai motivi che lo conducono in Italia, lo straniero deve richiedere l’emissione del permesso di soggiorno alla questura competente entro un termine massimo di 8 giorni lavorativi, contati a partire dal suo ingresso nel paese. In linea di massima, la durata del visto coincide con quella del permesso di soggiorno richiesto, anche se quest’ultima è generalmente prorogabile. Ad eccezione di alcuni casi, il rinnovo può essere richiesto fino a 60 giorni dalla scadenza del permesso.


Permessi di soggiorno lavorativi e Decreti Flussi



Districarsi tra le svariate tipologie di permessi non è semplice e per agevolarne la comprensione è importante chiarire alcune differenze.

Innanzitutto, i permessi per motivi di lavoro si dividono in quattro categorie: lavoro subordinato, lavoro stagionale, lavoro stagionale pluriennale e lavoro autonomo. Il numero di permessi lavorativi che possono essere concessi ogni anno è regolato da un Documento Programmatico triennale sull’immigrazione regolare e dai Decreti Flussi.


Quest'ultimi vengono emanati periodicamente dal Presidente del Consiglio – in ogni caso entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento – e stabiliscono il tetto massimo di ingressi per motivi lavorativi autorizzati nel nostro paese. Dovendo assicurare una certa elasticità, i decreti possono sia fissare quote precise per ogni categoria di lavoratori, sia stabilire quote più generiche che si riferiscono alla quota massima di ingressi indipendentemente dalla categoria di lavoratori. Il numero di ingressi autorizzato dai decreti flussi è basato sui dati raccolti nel documento programmatico e sulle indagini condotte dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.


Il contributo del Ministero del Lavoro è fondamentale in quanto fornisce dati utili per stabilire le quote in accordo con le esigenze del mercato del lavoro italiano. Nel caso in cui il documento programmatico non venga pubblicato, il Presidente del Consiglio è comunque autorizzato ad emanare un decreto flussi transitorio entro il 30 novembre, nei limiti delle quote previste per l’anno precedente. Tuttavia, un emendamento del PD al Decreto Sicurezza del 18 novembre ha cambiato le carte in tavola, abrogando sia il sistema delle quote massime per l’ingresso regolare di stranieri in Italia che il limite del 30 novembre.

Il modo migliore per comprendere la stratificazione del decreto flussi è guardare ad un esempio concreto: il più recente, il decreto flussi 2020, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 12 ottobre 2020.

La quota massima di ingressi prevista per lo scorso anno era di 30.850 unità, 18.000 delle quali riservate esclusivamente agli ingressi dei lavoratori stagionali (6000 solo per il settore agricolo e 1000 per il lavoro stagionale pluriennale).

Il decreto ha inoltre riservato 12.850 quote per il lavoro non stagionale e autonomo. Tra queste, 6.000 sono state destinate ai settori autotrasporti, edilizia e turistico-alberghiero.


Ulteriori 700 sono state poi attribuite ai lavoratori che hanno completato un percorso formativo nel paese d’origine (100), ai lavoratori stranieri con origini italiane residenti in Venezuela (100) e infine a 5 categorie specifiche di lavoratori autonomi. Le ultime 6.150 delle 12.850 quote indicate poco prima sono state destinate alla conversione dei permessi di soggiorno già esistenti in un permesso di lavoro.



Ricongiungimento Familiare



“La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato” Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Lo stato Italiano considera il diritto alla famiglia un diritto fondamentale e per questo contempla un permesso di soggiorno specifico per il ricongiungimento familiare.

Il ricongiungimento può essere richiesto da un cittadino straniero regolarmente in Italia (dotato quindi di permesso di soggiorno) da almeno un anno e che rispetti alcuni prerequisiti come un reddito e una situazione abitativa adeguata. Il permesso di soggiorno per motivi di famiglia è strettamente legato al permesso dello straniero già residente in Italia. Per esempio, quando un membro della sua famiglia ne fa richiesta, la durata del permesso equivale a quella del permesso accordato allo straniero già residente.

Il beneficiario del ricongiungimento familiare può accedere ai servizi assistenziali, lavorare regolarmente (sia in caso di lavoro subordinato che autonomo) e iscriversi a corsi di studio o di formazione professionale. Tra le altre cose, la disciplina sul ricongiungimento familiare applica una definizione di famiglia abbastanza estesa, includendo il coniuge maggiorenne, i figli minorenni alla data della richiesta di ricongiungimento, i figli maggiorenni a carico del richiedente a causa di gravi motivi di salute e i genitori a carico e/o over 65 che non hanno altri figli in grado di provvedere al loro sostentamento. Secondo i dati del XXIX Rapporto Immigrazione 2020 (rilasciato da Caritas e Migrantes), nel 2020 sono stati rilasciati 1.657.591 permessi di soggiorno per motivi familiari. Questo dato è particolarmente significativo, in quanto rappresenta il 48,2% di tutti permessi rilasciati nell’anno solare. (Figura 1)




Carta Blu UE



Il meccanismo della c.d Carta Blu UE o Blue Card è stato introdotta dalla Direttiva UE 50 del 2009, e poi successivamente inglobata nel Testo Unico dell’Immigrazione con il Decreto Legislativo 108 del 2012.

Si tratta di uno strumento che facilita l’assunzione di persone extracomunitarie altamente qualificate e che velocizza le pratiche che ne autorizzano l’ingresso in Italia. L'eccezionalità della Carta Blu risiede nel fatto che i lavoratori che possono beneficiare di questo particolare permesso di soggiorno (durata biennale in caso di lavoro a tempo indeterminato) non rientrano nelle quote dei decreti flussi. Come già anticipato, con le Blue Card le procedure per ottenere il nulla osta al lavoro (essenzialmente il permesso che abilita al lavoro) sono semplificate e talvolta non necessarie per alcune categorie specifiche (professori universitari, tirocinanti, giornalisti ecc.). Per ottenere questo permesso lavorativo è necessario che l’interessato sia in possesso di un titolo di istruzione superiore conseguito dopo un periodo di formazione di almeno 3 anni.

La richiesta deve essere presentata dal datore di lavoro che si trova in territorio italiano.


Inoltre, in due casi specifici, il lavoratore straniero già in possesso di permesso Blue Card può ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo: se è stato regolarmente ed ininterrottamente per 5 anni nel territorio dell'Unione grazie a una Blue Card o se è in Italia da almeno 2 anni con un permesso di soggiorno Blue Card.

Questo scenario apre per i familiari del titolare del permesso la possibilità di ricevere un permesso di soggiorno della durata di due anni per “motivi di famiglia”.

Riferimenti:


L'immagine di copertina è gentile cortesia di BELGA/DPA/B.Marks, cui abbiamo avuto accesso da qui: Più diritti e migliori condizioni di lavoro per i lavoratori stagionali extracomunitari



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