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Come il Covid-19 sta influenzando i conflitti

Aggiornamento: 22 giu 2020

Il nostro universo si è fermato per tre mesi a causa del Coronavirus: ora, almeno in Europa, si sta cercando di ripartire. La pandemia ha già avuto effetti devastanti a livello economico e sociale anche nei Paesi più sviluppati: per questo fa paura immaginarsi cosa stia succedendo al di fuori dei nostri confini.


A fronte dell’emergenza sanitaria è stato messo in agenda dal Consiglio di Sicurezza Onu una risoluzione per sospendere i conflitti nel mondo (di chiamare dunque un “cessate il fuoco” generalizzato) al fine di permettere ad ogni Paese di occuparsi dell’epidemia al meglio delle sue forze: mozione non passata a causa del veto americano. L’appello era stato lanciato dal Segretario delle Nazioni Unite, António Guterres, a cui aveva fatto seguito la voce di Papa Francesco.


Ma quali sono gli effetti che ha avuto, e che potrà avere, la pandemia sui conflitti in corso?


È innegabile che nelle situazioni di conflitto o di post-conflict, termine utilizzato nei riguardi di un Paese appena uscito da un periodo di ostilità, la popolazione è maggiormente vulnerabile allo scoppio di un'epidemia. In molti casi, infatti, prolungati anni di guerra e di crisi sono spesso accompagnati da una gestione amministrativa inefficiente e corrotta, con sanzioni imposte dall'esterno e distruzione, da parte del nemico, di strutture sensibili quali gli ospedali. Tutto ciò ha eroso i sistemi nazionali sanitari che si trovano ora a dover affrontate profondamente impreparati la pandemia.


In questo scenario, Guterres ha dichiarato che l'appello di cessate il fuoco sta riecheggiando in tutto il mondo: le fazioni in conflitto in Camerun, Repubblica Centrafricana, Colombia, Libia, Myanmar, Filippine, Sud Sudan, Sudan, Siria, Ucraina e Yemen hanno espresso il loro consenso. Ma ci sono enormi difficoltà di attuazione: questi conflitti perdurano da anni e c’è molta diffidenza tra le parti. In più, secondo il Segretario Onu, una situazione così difficile potrebbe attirare gruppi terroristici o estremisti con l’idea di poter trarre profitto dall'incertezza del momento.


È stato altresì riportato dallo stesso Guterres che in molte delle situazioni più critiche non si sono riportate tregue nei combattimenti e che, in certi scenari, si sono addirittura intensificati. Quali possono essere le ragioni? La prima spiegazione è che, in alcuni casi, l’appello è stato accolto solo da una parte in conflitto, annullandone l’utilità. Un’altra motivazione è stata trovata nella mancanza di strumenti per stipulare un chiaro accordo di cessate il fuoco. Tale circostanza può sembrare assurda: non così tanto se si pensa che il blocco degli spostamenti, a livello mondiale, fa sì che l’assistenza tecnica da parte di organizzazioni internazionali o da organizzazioni non governative non può recarsi sul campo.


Il terzo motivo, forse quello con il maggior impatto, fa riferimento ai dati stessi del contagio. La situazione prospettatasi a fine marzo, per la rapida diffusione del virus e la sua mortalità, somigliava a una catastrofe, specialmente in Stati fragili e nelle zone di guerra. Ma questo, per quello che sappiamo, ancora non è successo. L’ultima ragione è di natura prettamente politica: la disfunzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Si è già detto che gli Stati Uniti hanno bloccato l’approvazione della risoluzione in seno al Consiglio: secondo le motivazioni addotte dalla Rappresentanza americana alle Nazioni Unite, è successo perché il documento conteneva una citazione dell’Organizzazione della Salute Mondiale (OMS), a cui l’attuale amministrazione americana ha deciso di tagliare i fondi a seguito della presunta irresponsabile gestione dell’emergenza.


Focalizziamoci ora su tre aree di conflitto che sembrano essere quelle più a rischio: la Libia, la Siria e lo Yemen.


La Libia è testimone di una guerra civile che dura dal 2011 e che vede tutt’ora due schieramenti contrapposti: il governo di Tripoli del primo ministro Fayez al-Sarraj. Dall’altro lato, il governo di Tobruk, con il generale Haftar. Il suo sistema sanitario era già al collasso a causa della fuoriuscita dei medici durante la guerra: secondo il Global Health Security Index del 2019, il Paese nordafricano è tra quelli meno preparati alla diffusione della pandemia Per fronteggiare l'emergenza attuale, i due governi rivali cercano di imporre restrizioni ai movimenti di persone nel tentativo di limitare il contagio. Tuttavia, in un contesto complesso come quello del confitto libico, le misure di entrambi i leader sembrano più iniziative propagandistiche che provvedimenti concreti.


In Siria i dati dell’OMS riportano 43 casi confermati e 3 deceduti causa Covid. Tali numero sono, con ogni probabilità, poco realistici dal momento in cui non ci sono tamponi o laboratori dove condurre le analisi. La guerra in Siria dura da ormai 9 anni, durante i quali sono stati distrutti circa il 50% delle strutture sanitarie, senza contare le innumerevoli vittime tra medici e personale ospedaliero. La zona più a rischio è la regione di Idlib, nel nord-ovest, perché i combattimenti non accennano a fermarsi ma soprattutto all’interno degli innumerevoli campi profughi, dove a causa del sovraffollamento e delle scarse condizioni igieniche, è impossibile adottare misure di distanziamento sociale. Questa situazione, poi, peggiora di giorno in giorno a causa dell’impossibilità di fornire beni di prima necessità e servizi per l’igiene a causa della chiusura delle frontiere.


Anche prima della pandemia, lo Yemen era un Paese sull’orlo del baratro. Il sottosviluppo cronico e 5 anni di guerra hanno creato un disastro umanitario e hanno sfinito il sistema sanitario, già molto debole. Anche qui, come in Siria, i dati ufficiali dell’emergenza non rappresentano la realtà. In più, secondo i dati dell’Onu, il numero di decessi sta aumentando non solo per il Coronavirus, ma anche per la diffusione di altre malattie infettive, tra cui malaria e colera, correlata alla quantità devastante di inondazioni che ha colpito il paese nel mese di Aprile 2020. La risposta delle organizzazioni internazionali non è stata sufficiente: lo scorso 2 giugno si è tenuta una Conferenza Internazionale dove gli Stati hanno promesso aiuti per 1,3 miliardi di dollari ( sui 3/4 miliardi stimati per risollevare il Paese dalla crisi).


È possibile che la risposta degli Stati che ospitano conflitti si adegui alle richieste del Segretario Guterres? Forse, nel momento in cui si registrerà un picco di casi, le fazioni avversarie si decideranno a deporre temporaneamente le armi per combattere un nemico ancora più insidioso.


REFERENZE:



Covid-19 e conflitti, Senato della Repubblica, Nota 18, Servizi Affari Internazionali, Aprile 2020, http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01150068.pdf

La pandemia di Covid e il conflitto siriano, Huffington Post, Regina Catrambone, Maggio 2020, https://www.huffingtonpost.it/entry/la-pandemia-di-covid19-e-il-conflitto-siriano_it_5eac0f8cc5b64d644f0eb95f

What’s Happened to the UN Secretary-General’s COVID-19 Ceasefire Call?, International Crisis Group, Richard Gowan, Giugno 2020, https://www.crisisgroup.org/global/whats-happened-un-secretary-generals-covid-19-ceasefire-call

L’UNHCR intensifica gli aiuti emergenziali mentre i conflitti in corso e la diffusione del COVID-19 aggravano le difficoltà in Libia, UNHCR, maggio 2020, https://www.unhcr.it/news/lunhcr-intensifica-gli-aiuti-emergenziali-mentre-i-conflitti-in-corso-e-la-diffusione-del-covid-19-aggravano-le-difficolta-in-libia.html


Yemen, una tripla catastrofe tra conflitto, COVID-19 e collasso economico, UNICEF, Maggio 2020, https://www.unicef.it/doc/9906/yemen-una-tripla-catastrofe-tra-conflitto-covid-19-e-collasso-economico.htm


Allarme Yemen: il coronavirus si diffonde e colpisce sempre più duramente, INTERSOS, Giugno 2020 https://www.intersos.org/allarme-yemen-il-coronavirus-si-diffonde-e-colpisce-sempre-piu-duramente/


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