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Immagine del redattoreRedazione

Fotografia della crisi in Libano

Nelle ultime settimane il Libano ha attirato l’attenzione delle testate internazionali per le due esplosioni consecutive dell’hangar nel porto della capitale Beirut che hanno causato, ad oggi, 160 vittime, oltre 6000 feriti e più di 300mila sfollati.


Le fonti suggeriscono che la detonazione sia avvenuta a causa di materiale altamente esplosivo, il nitrato di ammonio, confiscato e depositato in un container del porto dal 2014. Il presidente Michel Aoun non ha escluso che l’innesco delle esplosioni sia avvenuta con un missile o con una bomba: ma è tutta un’ipotesi da verificare, come quella che vede Hezbollah (movimento e partito islamico sciita attivo in Libano, classificato organizzazione terrorista dal Congresso USA) protagonista informale di operazioni criminali all’interno del porto e forse anche responsabile della tragecdia (i).


La risposta della popolazione, poi, è stata quella di scendere in piazza per chiedere le dimissioni del governo Diab, rapidamente ottenute dopo violente proteste dove, secondo Amnesty International, la polizia ha utilizzato la tattica “colpisci per far male”, al fine di punire i manifestanti e dissuadere gli altri a partecipare alle proteste successive (ii).




Lo stesso giorno dell’esplosione i cittadini stavano manifestando per i black out che ormai durano fino a 20 ore al giorno. Oltre alle perdite di vite umane, l’esplosione ha causato ingenti danni in tutta la città, tra cui la distruzione di 3 ospedali, per circa 15 miliardi di dollari.

In più, è stato distrutto un silos di stoccaggio di grano, le cui riserve scarseggiano e potrebbero durare non più di un mese. La situazione è aggravata dal fatto che, secondo quanto riportato dall'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO), l’85% del grano importato in Libano passa proprio dal porto di Beirut, in questo momento fuori uso (iii).






Le notizie che ci sono arrivate in questi giorni vanno ad esasperare una situazione già da tempo sull’orlo del tracollo: il Libano è in crisi, ma lo è già da tempo.

Dall’ottobre del 2019, le piazze libanesi si sono riempite di cittadini la cui richiesta principale, oltre alle dimissioni del governo, ottenute con l’insediamento di Diab, è quella di una riforma del sistema politico che, secondo l’opinione dei manifestanti, è corrotto e pienamente responsabile della crisi attuale. Le rivolte hanno subito uno stop a causa della pandemia globale ma sono riprese in seguito all’annuncio del default economico del Paese, non solo per il perdurante aggravarsi della crisi, ma anche per l’inefficienza dello Stato nell’adoperarsi per disarmare Hezbollah e riportarlo sotto il controllo delle autorità statali. (iv).


Il Paese è testimone di una storia nazionale difficile, ma che nel tempo ha avuto dei risvolti positivi a livello economico e sociale. Basti pensare che un tempo veniva definito “la Svizzera del Medio Oriente”, o anche il “regno delle banche”, complice la forte valuta locale ancorata da oltre 20 anni al dollaro. Tuttavia, da ottobre 2019 in poi, il costo del valuta americana ha iniziato a salire inarrestabilmente ai danni della lira libanese: il cambio stabile di 1500 LBP/USD è arrivato alla soglia di 8000 LBP (v). Ma persino a questa tariffa stellare i dollari sono introvabili al mercato nero.

Sui conti pubblici infatti grava il debito nazionale, pari a 87 miliardi di dollari: il 150% del PIL. Questi numeri fanno sì che il Libano sia il Paese con il secondo debito più alto del mondo.

In pochi anni il Libano è sprofondato nel club dei Paesi poveri: a settembre 2019, dopo un anno di grave crisi, il 33% per cento della popolazione era precipitato sotto la soglia relativa di povertà (vi).


A marzo, nel bel mezzo dell’emergenza Covid, il governo di Beirut ha annunciato che non sarà in grado di rimborsare la rata da 1,2 miliardi di dollari di interessi sul suo debito pubblico: il Paese è precipitato in default (vii). Se gli aiuti dopo tale dichiarazione hanno tardato ad arrivare, non è stato il caso per la tragedia consumatasi a Beirut. Il 9 agosto infatti si è tenuta una conferenza internazionale (organizzata congiuntamente dalla Francia e dall’Onu) in cui diversi Stati si sono impegnati a fornire aiuti umanitari al Libano per circa 300 milioni di dollari.

Il commissario europeo per la Gestione delle Crisi, Janez Lenarcic, ha tuttavia affermato che il contributo europeo sarà destinato ad aiuti umanitari per rispondere alle necessità immediate della popolazione e sarà consegnato alle agenzie Onu e alle Organizzazioni non governative, sotto stretto controllo. Non al governo, dunque.


REFERENZE

ii. Libano, 230 feriti nelle proteste dell’8 agosto: https://www.amnesty.it/libano-230-feriti-nelle-proteste-dell8-agosto/





vi. Libano, un altro durissimo colpo per una nazione sull’orlo del collasso economico: https://www.ilsole24ore.com/art/libano-altro-durissimo-colpo-una-nazione-sull-orlo-collasso-economico-ADgV5xh?refresh_ce=1


vii. Il Libano è in bancarotta, ecco perché:


Immagine di copertina da il Messaggero

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