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E sapete cos'è la felicità?

Consumismo, razzismo, omofobia, disparità sociali e ricerca del potere sono le ombre che si stagliano sullo sfondo di questa storia. In una realtà in cui si lotta ancora per una parità di genere, sociale, generazionale, non siamo allora così tanto lontani da quegli anni 60’ , teatro dei primi scontri di suddette questioni. Sicuramente non possiamo parlare in termini assolutamente negativi, anzi, quel che si vuole mostrare è come sia ancora necessario portare avanti quella stessa rivoluzione che non ha ancora visto trionfare i suoi obbiettivi omogeneamente in tutto il mondo.


Ecco che in questa storia, nella nostra storia, si faccia attenzione a non cadere in alcuna accezione di carattere possessivo ma piuttosto tale aggettivo vuole non solo coinvolgere il lettore e l’autore nella lettura ma sottolineare l’importante rapporto di condivisione e complicità che si instaura tra essi, che si impone come protagonista la realtà umana, raccontata non per puro intrattenimento, non ci troviamo tra i colori e le emozioni frenetiche di una ruota, ma in una macchina del tempo, che ci porta avanti ed indietro, abbandonati alla nostra nostalgia. Questo è ciò che riesce a realizzare la serie tv Mad Men, ideata da Matthew Weiner, vincitrice di 16 Emmy e 5 Golden Globes destinata a ridefinire lo scenario televisivo, dimostrando la possibilità di raggiungere un'altissima qualità, ed influenzando decisamente l'orizzonte stilistico con una ripresa del rigore tradizionale della moda maschile di quel periodo.


Ambientata nella New York degli anni 60’, ripercorre un intero decennio, dalla campagna presidenziale che contrappose John Kennedy e Richard Nixon, la crisi dei missili di Cuba, l’assassinio di Kennedy, le lotte degli afroamericani per la conquista dei diritti civili sino al primo allunaggio, attraverso le storie dei pubblicitari dell’agenzia Sterling & Cooper di Madison Avenue. La serie si mostra in tutta la sua fedeltà storica, costumi, accessori, musiche e realtà ripropongono un tuffo nel passato a volte così travolgente da non farci accorgere il vero legame con il presente.


Una scena mascherata da altra scena, che si camuffa e ci fa credere nel suo percorrere la storia, di essere al sicuro dalla sua veracità spietata, di non esser colpiti o inseguiti da essa solo perché ambientata in un’altra epoca.

Eppure quella costante ricerca del potere, del denaro, quei ritmi frenetici a volte impossibili da mantenere, quell’esser disposto a tutto pur di arrivare ad esser ammirati e quella costante necessità di vendere una impeccabile idea di noi stessi, di dimostrare una vita perfetta in ambito familiare e lavorativo non apparterrebbe anche alla nostra società?

Dietro a queste maschere non si svelerebbe una profonda e oscura inconsistenza?


Tutto è studiato, la grande e rumorosa agenzia pubblicitaria non è che un’esaltazione di questa metafora di futilità ed apparenza. L’etica è subordinata alle necessità di profitto e ciò che conta è quel che si vende. Il materialismo ne è la chiave, ogni oggetto costituirà una parte fondante di quell'impalcatura d’orata per raccontare la propria finta storia.


La pubblicità si basa su un’unica cosa: la felicità. E sapete cos'è la felicità? È una macchina nuova, è liberarsi dalla paura, è un cartellone pubblicitario che ti salta all'occhio e che ti grida a gran voce che qualunque cosa tu faccia va bene, che tu sei ok.” [II]





E per quanto queste parole possano suonare gelide nella loro sicurezza, colgono proprio quel sentimento comune degli anni 60’ e della nostra epoca, quella paura di sprofondare nel vuoto dietro la maschera, di mostrare al mondo il loro vero volto perché dietro a quell’apparenza, quel sistema di relazioni altolocate, di quella parvenza di convenzionalità non vi è altro. Quella ricerca del potere che supera ogni attenzione alla vita privata e familiare è il germe della consapevolezza dell’impossibilità di curarsene. E così facendo rimangono imprigionati nei loro stessi ruoli, tra quelle sbarre della gabbia da loro stessi costruita. Insoddisfatti e frustrati si immergono in una ricerca senza fine di un desiderio che non conosce serenità, per soffocare la realtà emotiva. E come lo stesso protagonista Don Draper ci fa sapere con un piccolo accenno alla filosofia di Schopenhauer: “la felicità è il momento prima che tu abbia bisogno di più felicità”, un circolo vizioso.


Tutto allora è un cartellone pubblicitario che ti assicura di esser felice, che ti cattura e neutralizza quella paura stessa che in realtà alimenta. Perché “ la gente vuole così disperatamente sapere cosa fare che darebbe retta a chiunque” [III].


Don Draper nella sua eleganza e sicurezza mostra comunque la consapevolezza di questo compromesso sociale, ama il suo lavoro proprio perché incarna il movimento interno alla società.

Ah per amore lei intende quel fulmine che ti spacca il cuore, che non ti fa mangiare né lavorare, che ti porta di corsa a sposarti e a fare figli. Il motivo per cui non l’ha provato è che non esiste. Vede, quel tipo di amore è stato inventato da quelli come me per vendere calze” [IV] .





E per vendere un prodotto in realtà si vende un’idea, una manipolazione dei sentimenti, per colpire quell’incessante insicurezza umana promettendo per un momento, la fine di quel desiderio che ci anima . “Teddy diceva che la cosa più importante in pubblicità è la novità, che crea desiderio. Non si può lanciare qualunque prodotto come se fosse una lozione, per questo bisogna creare un legame più profondo col prodotto: la nostalgia. È delicata, ma potente. Teddy mi disse che in greco nostalgia significa letteralmente dolore che deriva da una vecchia ferita. È uno struggimento del cuore di gran lunga più potente del ricordo.” [V]




Referenze


[I]. Immagine di copertina e immagini all'interno dell'articolo prese dalla serie TV Mad Men


[II]. Mad Men, prima stagione, prima puntata 'Fumo negli occhi'.


[III] vedere nota II


[IV]. Mad Men, prima stagione, sesto episodio 'Babilonia'.


[V]. Mad Men, prima stagione, tredicesimo episodio 'La ruota del destino'.

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