Pfizer, AstraZeneca, Sanofi, Novartis, Bayer e Johnson & Johnson sono solo alcuni dei nomi che sentiamo spesso citare in televisione, nei giornali o nel nostro podcast quotidiano. Sono fra le aziende leader nel settore farmaceutico globale e oggi stanno sviluppando un loro vaccino contro il virus Covid-19. Ma in quanti conosciamo davvero il settore farmaceutico e quali e quanti dei loro vaccini sono destinati ai paesi in via di sviluppo e più poveri?
Il costo dell’innovazione nel settore farmaceutico
L'espressione Big pharma è spesso usata per riferirsi a società con ricavi oltre i 3 miliardi di dollari e con una spesa di ricerca e sviluppo oltre i 500 milioni di dollari. Il termine ha una connotazione negativa nel linguaggio quotidiano a causa di teorie che non sempre riscontrano evidenze. Fuori da luoghi comuni, in generale, il settore farmaceutico è stato dal dopoguerra in avanti un motore di sviluppo per il benessere. L’impatto di questa industria, grazie ai farmaci ed ai prodotti per la salute, si è concretizzata in risultati che incidono direttamente sulla qualità della vita delle persone, che hanno portato ad una netta diminuzione della mortalità e in un contributo all’allungamento della vita media.
Il costo della scoperta di nuovi farmaci ed il loro sviluppo può risultare enormemente costoso e lungo. Da dati del 2011 di Forbes [i], il costo medio per un nuovo farmaco sviluppato da una grande azienda farmaceutica si aggira fra i 4 e gli 11 miliardi di dollari. Storicamente però non è sempre stato così elevato. Come si è arrivati a queste cifre?
Nel corso degli ultimi decenni, le malattie più diffuse e pericolose sono state studiate e analizzate. Ciò ha portato progressivamente allo sviluppo di farmaci e vaccini per risolvere problemi che, oggi, sembrano lontanissimi. Basta pensare al vaiolo, virus endemico e nel 30 per cento dei casi mortale che è stato eradicato in seguito all’attuazione di una vaccinazione di massa della durata di dieci anni fra la fine degli anni ‘50 e gli anni ’60. Progressivamente, farmaci e vaccini sono stati sviluppati per malattie decenni fa molto diffuse come il vaiolo ma,, purtroppo, al diminuire delle malattie potenzialmente mortali, per cui era più semplice trovare le cure o il bacino di utenti era molto ampio, è aumentata la difficoltà e la lentezza nel trovare cure per malattie più rare e complicate.
Ad oggi, si stima che per ogni 30.000 composti farmaceutici sintetizzati, 2.000 (6,7%) entrano nella fase di sviluppo preclinico, 200 (0,13%) entrano nella fase 1 di test clinici, 40 (0,067%) entrano nella fase 2 di test clinici, 12 (0,004%) entrano nella fase 3 di test clinici, 8 (0,0027%) sono approvati e, infine, solo 1 (0,003%) porta ad un ritorno economico [ii]. Inoltre, la media degli anni necessari per lo sviluppo di un nuovo farmaco è in media 10. Per salvaguardare tale investimento da parte delle compagnie farmaceutiche, gli enti regolatori hanno creato i cosiddetti brevetti della durata circa di
20 anni [iii].
Nonostante i brevetti e la conseguente protezione da possibili “copia incolla”, i ricavi delle più grandi aziende farmaceutiche negli ultimi anni sono diminuiti. Se da un lato la ricerca di nuovi farmaci si è fatta più difficile, dall’altra molti di questi prodotti sono richiesti da un numero altamente ridotto di pazienti. Di conseguenza, a causa dei costi di ricerca ed innovazione sempre più elevati e anche della volontà di avere un ritorno economico, il prezzo di molti nuovi farmaci altamente specifici è aumentato ed, in certi casi, anche esponenzialmente. È diventato famoso il caso lo scorso dicembre di una bambina curata a Napoli con il farmaco più costoso al mondo, il cui singolo trattamento costa 1,9 milioni di euro al sistema sanitario nazionale [iv]. Nonostante la cura innovativa sia volta alla salvaguardia della salute, vi è l’urgenza di chiedersi se sia etico il prezzo imposto per tale trattamento e se, in modalità da definire, vi sia la necessità di regolamentare tale mercato, sia sul lato dei prezzi sia su quello della ricerca e sviluppo per malattie rare.
Lo sviluppo di vaccini e il loro accesso a paesi in via di sviluppo
Lo sviluppo del vaccino contro il virus Covid-19 è stato letteralmente una corsa contro il tempo al fine di fornire agli Stati un metodo efficace preventivo per evitare il contagio. Varie aziende hanno sviluppato un vaccino o sono prossime alla conclusione dei test clinici, fra queste Pfizer, Moderna, AstraZeneca sono le più famose. I loro vaccini hanno ricevuto ingenti finanziamenti pubblici al fine di essere sviluppati il più rapidamente possibile: Moderna ha ricevuto circa 2,5 miliardi di dollari di fondi pubblici dal governo americano mentre quello Pfizer è stato finanziato da circa 443 milioni di dollari stanziati dal governo tedesco, attraverso l’azienda partner BioNTech, e da un prestito di oltre 118 milioni di dollari dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI) [v]. Ad oggi, entrambe le aziende continuano a secretare informazioni importanti come i costi di ricerca e sviluppo, test clinici e produzione.
In cambio dei finanziamenti, gli stati hanno avuto il diritto di comprare ed opzionare dosi di vaccino ad un prezzo ridotto e concordato. Ciò però non avviene per tutti paesi, fra cui soprattutto quelli in via di sviluppo che rischiano, oltre ad avere meno potere d’acquisto in quanti meno ricchi, di pagare un prezzo di alto per gli stessi vaccini [vi].
Secondo le attuali stime, le nazioni più ricche, che rappresentano solo circa il 14 per cento della popolazione mondiale, hanno acquistato finora il 53 per cento di tutti i vaccini più promettenti [vii]. Alla capacità di produzione di vaccini attuali, i modelli prevedono che non ci saranno vaccini sufficienti per coprire l’intera popolazione mondiale fino al 2023 o al 2024 [viii]. Va inoltre considerato che la maggior parte delle dosi acquistate da parte di paesi in via di sviluppo sono per vaccini che hanno prezzi o difficoltà logistiche minori, come il vaccino di Novavax o AstraZeneca, ma che attualmente non sono ancora approvati. I vaccini Pfizer e Modena, vaccini più costosi, sono invece stati distribuiti prevalentemente a paesi sviluppati.
Dal grafico qui riportato, sulla colonna di destra, si trova Covax fra gli enti riceventi dei vaccini. Ma che cos’è Covax? Diretto da GAVI, “Global Alliance for Vaccines and Immunizations”, e dall’OMS, Covax può essere concepito come un ente aggregatore di vaccini che mira a garantirne un accesso equo in tutto il mondo, fornendo alle popolazioni ad alto rischio 2 miliardi di dosi entro la fine del 2021. A lungo termine, il suo obiettivo è sostenere le campagne di vaccinazione nei paesi in via di sviluppo.
In merito, Pfizer ha affermato di aver intenzione di fornire dosi a Covax mentre l’Unione Europea ha annunciato che contribuirà con 500 milioni di euro in sovvenzioni per sostenere Covax. Infine, AstraZeneca ha promesso di distribuire il 64 per cento delle dosi a persone nei paesi in via di sviluppo. Ad oggi, pare che le parte delle campagne di vaccinazione in paesi in via di sviluppo siano state ideate ma che lentamente partiranno entro la fine del 2021.
Referenze
[ii] Shillingford CA, Vose CW. Effective decision-making progressing compounds through clinical development, Drug Discovery Today, Vol 6, No 18,
[iii] Source : « Recherche & Vie », LIM (AGIM)
[v] https://www.aboutpharma.com/blog/2020/11/12/il-costo-del-vaccino-di-pfizer-biontech-in-europa-e-negli-usa/
[vii] https://www.dw.com/en/fact-check-will-poor-countries-miss-out-on-covid-19-vaccinations/a-55886334
[viii] https://launchandscalefaster.org/COVID-19
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