Quando si parla di giovani e di occupazione in Italia, il dibattito è da sempre polarizzato. Da un lato, negli ultimi 12 anni più di 2 milioni di giovani italiani, molti di cui altamente qualificati, hanno lasciato l’Italia per cercare fortuna all’estero. Dall’altro lato invece, quasi il 70% dei giovani italiani fra i 18 e 34 anni abita ancora a casa dei genitori. Fatto sta, che il tasso di occupazione giovanile nel nostro paese è il più basso in Europa. La colpa è dei giovani che sono pigri o perché sono vittime di un paese che non li mette nelle condizioni di trovare lavoro e successo, obbligandoli ad emigrare?
Prima di andare nel merito della questione, guardiamo i fatti. Come si può vedere nella mappa, l’Italia ha il tasso d’impiego giovanile più basso di tutta l’Unione Europea: a malapena il 40% degli Italiani fra i 20 e 29 anni ha un lavoro. Nessuno peggio di noi. In altri paesi come Austria, Germania, e Olanda questo tasso è oltre il 70%. Com’è possibile?
Un motivo che viene spesso citato è la poca istruzione delle ultime generazioni italiane. L’istruzione è uno dei fattori più determinanti per l’impiegabilità di un individuo. Andando a guardare i dati, i giovani in Italia sono in effetti meno istruiti dei loro coetanei nel resto del continente. Neanche un giovane (25-34 anni) su tre è laureato in Italia. Un dato ancor più preoccupante se si considera che siamo penultimi in Europa davanti solo alla Romania.
Se il motivo per il quale i giovani italiani hanno difficoltà a trovare lavoro è l’istruzione, bisognerebbe però vedere una differenza con il resto dell’Europa molto più bassa per i più istruiti. Invece, guardando la popolazione fra i 15 e i 34 anni, in Italia meno del 70% dei laureati è impiegato a cinque anni dal titolo. Il tasso più basso dell’Unione Europea.
Quindi, per quanto il livello d’istruzione permetta di trovare lavoro più facilmente, non sembra spiegare tutte le disuguaglianze di opportunità con il resto dell’Unione. Bisogna però ricordarsi che non tutte le lauree sono nate uguali. Come riportato da Massimo Anelli (professore associato all’Università Bocconi) al Sole 24 Ore, a 20 anni dal conseguimento della laurea, un laureato in economia può guadagnare più del doppio di un collega delle scienze umanistiche. Infatti, le prospettive reddituali sono più alte per chi si laurea nelle materie STEM (science, technology, engineering, maths). Malgrado ciò, come spiega Anelli, “In Italia abbiamo la metà dei laureati in ingegneria, la metà dei laureati in economia, un quinto dei laureati in informatica e al tempo stesso più del doppio di laureati in scienze umanistiche e scienze sociale.” Andando a vedere i dati UE infatti, il 1.3% dei laureati italiani si è specializzato in informatica. Tre volte meno della media europea. Invece, siamo primi per quanto riguarda l’arte e le scienze umanistiche. In poche parole, i giovani italiani tendono a specializzarsi in settori con meno sbocchi lavorativi.
Ci potremmo accontentare di finire qui l’analisi ed aggiudicare i giovani come i colpevoli. Ma ciò non spiega perché i giovani qualificati emigrano e trovano lavoro all’estero. Sempre secondo il Sole 24 Ore, il nostro sistema economico è dominato da piccole e medie imprese che tendono a concentrarsi sulla produzione di un unico bene e richiedono quindi profili con competenze tecniche meno elevate di quelle richieste dalle grosse aziende con una produzione diversificata. La situazione è paradossale: mentre buona parte dei giovani italiani non ha le competenze richieste dal mercato del lavoro, coloro che si specializzano nelle aree richieste sono sovraqualificati. Il problema di fondo è quindi una mancanza di dialogo fra il mondo del lavoro e quello dell’istruzione.
Ai giovani italiani manca un sistema di supporto che li guidi e prepari per le professioni richieste dal mondo del lavoro. Per esempio, oltre il 70% dei giovani laureati in Italia non ha lavorato durante i loro studi mentre in Francia questa percentuale è di solo 20%. Un modello che viene spesso citato come un esempio di integrazione dei giovani è quello tedesco, il Duale Ausbildung. Ogni anno, circa la metà dei tedeschi che finiscono il liceo intraprendono un programma di apprendistato nel quale dividono il loro tempo equamente fra studio e lavoro durante tre anni. Gli studenti-apprendisti vengono seguiti da un tutor con almeno 5 anni di esperienza. A traverso questo mischio di esperienza teorica e pratica, i giovani guadagnano le competenze richieste dalle aziende. Non per niente, prima del COVID il tasso di disoccupazione giovanile in Germania era sotto il 6%. Malgrado gli ottimi risultati storici, il Duale Ausbildung ha i suoi limiti. In particolare, visti l’alto livello di specializzazione, alla fine dell’apprendistato i giovani hanno meno scelte professionali in confronto ad un laureato. Inoltre, le offerte professionali del programma non sono complementari alle recenti tendenze macroeconomiche. Per esempio, le opportunità nel settore digitale rimangono limitate.
Il potenziale dell’alternanza scuola-lavoro si può anche vedere in Italia. Nel 2015 il governo Renzi introdusse la Buona scuola, una riforma che consiste nel far svolgere un certo numero di ore in azienda ai liceali e agli studenti degli istituti tecnici e professionali. Anche se il programma è stato ridotto dai governi seguenti, Almalaurea stima che Buona scuola aumenti di 41% le chance di impiego.
La disoccupazione dei giovani è quindi un problema che va oltre il solito discorso che contrappone i giovani pigri alle aziende che discriminano contro i neolaureati. Imparando dai limiti del modello tedesco, bisognerebbe investire in una coordinazione del mondo del lavoro e dell’istruzione che permetterebbe non solo di preparare i giovani alle esigenze lavorative odierne, ma anche di anticipare il mercato per insegnare ai giovani le competenze necessarie per affrontare le richieste professionali nei decenni a venire.
Fonti
https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Educational_attainment_statistics https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Being_young_in_Europe_today_-_labour_market_-_access_and_participation#Education_and_employment_patterns
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