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I ricchi si allontanano: Come le disuguaglianze in Italia sono cresciute dal 2008

Aggiornamento: 1 mag 2020


L’entrata nel nuovo millennio portava con sé tante speranze di un futuro migliore per gli italiani. L’introduzione dell’euro segnava l’inizio di una storica integrazione regionale, il potere di acquisto degli italiani era in (lieve) crescita [i] e l’Italia era campione del mondo. Tuttavia, queste speranze furono presto infrante con la crisi finanziaria del 2008 e quella del debito che seguì nel 2010. Questa crisi, in Italia come in tutto il mondo, fu inaspettata. Non solo perché in pochi l’avevano vista arrivare ma anche per le conseguenze che essa portò.


Infatti, le crisi finanziarie di solito portano ad una riduzione delle disuguaglianze, visto che i detentori di strumenti finanziari (azioni, debito…) sono concentrati nei segmenti più facoltosi di una società [ii]. Ma non questa. Come mostra Oxfam Italia in “Disuguitalia” con i dati di Eurostat [iii], il rapporto interquintilico in Italia è invece aumentato dopo il 2007. Ma cos’è il rapporto interquintilico?

In poche parole, è uno degli indici usati per misurare il livello di disuguaglianze in una popolazione e lo fa comparando il reddito equivalente disponibile del 20% più ricco della popolazione con quello del 20% più povero. Con reddito equivalente disponibile si intende il reddito che rimane dopo aver tolto i trasferimenti statali come le imposte o le prestazioni sociali Un modo per capirlo meglio, è immaginare che tutta la popolazione italiana si metta in fila in ordine di reddito. Ogni italiano avrebbe quindi davanti a sé una persona con un reddito equivalente disponibile leggermente più alto e dietro di sé una persona leggermente più povera. Da questa lunga fila, si separano il 20% che è in fondo alla fila – quindi i meno privilegiati – e i primi 20% della fila – i più benestanti – e si somma il reddito equivalente disponibile nei due gruppi, per poi compararli. Per esempio, come si può vedere nel grafico, nel 2007 il reddito equivalente disponibile del quinto degli italiani più ricco era 5,22 volte più alto di quello del quinto più povero. Questa proporzione è la più bassa che l’Italia abbia conosciuto dal 2000.



Questo calo del rapporto interquintilico, e quindi delle disuguaglianze, nei primi sette anni del ventunesimo secolo coincide con un investimento eccessivo nel mercato immobiliare che ha fatto crescere i prezzi del mercato residenziale di quasi un terzo [iv]. Questo fenomeno era facilitato dalle banche che approfittavano di tassi d’interesse storicamente bassi per attirare nuovi clienti anche se quest’ultimi non potevano permettersi i mutui. La logica delle banche era di dare dei mutui a chiunque lo chiedesse. Se non fossero riusciti a pagare, la banca si sarebbe presa la casa che nel frattempo aumentava di valore. Le istituzioni finanziarie pensavano quindi poter solo guadagnare da questa situazione. Tuttavia, nel 2008, negli Stati Uniti, i prezzi immobiliari erano così esagerati che la gente si rese conto che non rispecchiavano più il loro valore reale, e quindi cominciarono a calare. La bolla speculativa stava esplodendo.


I tassi d’interesse sui mutui aumentarono e la gente non riusciva più a ripagarli. Le banche quindi si sono riprese le case legate ai mutui che però perdevano valore ed iniziarono a fallire, prima negli Stati Uniti e poi nel resto del mondo. I governi decisero allora di spendere soldi per supportare le proprie economie. L’Italia però presto si rese conto che non poteva fare la stessa cosa. Per anni il debito italiano era aumentato così tanto che nel 2008 era più grande del PIL di tutto il paese [v]. Non poteva quindi permettersi di ampliarlo più di tanto senza che i finanziatori iniziassero a chiedere degli interessi troppo alti che il governo non avrebbe potuto ripagare. Il governo dovette quindi stringere la cintura.

Lo fece aumentando gli introiti e riducendo le spese. Il primo implicò la crescita della pressione fiscale a traverso riforme come l’introduzione dell’IMU (tassa sulla prima casa) e l’aumento di accise come quella sul carburante. La seconda implica una riduzione delle spese sanitarie e sociali [vi]. Queste misure impattarono negativamente soprattutto la gente meno benestante che si ritrovò a dovere pagare più tasse pur ricevendo meno aiuti dallo stato. Inoltre, questo clima di insicurezza dissuadeva le famiglie a mettere da parte dei risparmi, peggiorando la situazione. In effetti, se uno non risparmia non può nel futuro permettersi di investire in beni che aumentano di valore nel tempo. Come se ciò non bastasse, la crisi finanziaria si trasformò in crisi economica dove le imprese stavano faticando a trovare finanziamento portando ad un aumento della disoccupazione [vii].


Quindi, sorprendentemente, la crisi del 2008 non portò ad una riduzione delle disuguaglianze come era successo in passato. Questa volta, i poveri si sono ritrovati con più spese, meno aiuti sociali, più disoccupazione e povertà mentre i più privilegiati venivano indirettamente sostenuti grazie agli aiuti di stato alle imprese e alle istituzioni finanziarie. Di conseguenza, le disuguaglianze, misurate a traverso il rapporto interquintilico, crebbero e non si sono ancora fermate. La direzione rimane però un’incognita di fronte alla pandemia che sta colpendo l’Italia ed il mondo intero.

Referenze


[i] https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-eurostat-news/-/WDN-20180717-1?inheritRedirect=true&redirect=%2Feurostat%2Fnews%2Fwhats-new [ii] Thomas Piketty, Il capitale nel XXI secolo, 2013, Edition du Seuil [iii] Oxfam Italia, Disuguitalia, Dati e considerazioni sulla disuguaglianza socio-economica in Italia, 2020, Oxfam [iv] https://www.ilsole24ore.com/art/la-casa-non-ha-battuto-l-inflazione-ultimi-25-anni--AEJ8f5IB [v] https://ec.europa.eu/eurostat/en/web/products-datasets/-/GOV_10DD_EDPT1 [vi] Decreto Legge n. 98 del 6 luglio 2011

[vii] Elisa Borghi, L’impatto delle misure anti-crisi e la situazione sociale e occupazionale: italia, 2013, Comitato economico e sociale europeo

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