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Il benessere economico nella sua diseguale distribuzione


Nello scorso articolo [i] abbiamo osservato come le spese per i consumi siano molto disomogenee nel nostro paese, con uno scarto di ben 789 euro tra il territorio con i consumi più alti (il Nord-Ovest) e quello con i consumi più bassi (le Isole). Questo dato indubbiamente sconcertante non può rimanere senza una spiegazione a monte delle cause. Una disuguaglianza del genere non è un cigno nero ma ha radici profonde nella storia e nell’economia del nostro paese.

Il compito che ci poniamo oggi è quello di vagliare altri indicatori economici offertici dalla statistica per dimostrare che il luogo comune di un’Italia economicamente divisa sia enormemente vero. Osserveremo che si spende in maniera differente perché si vive in maniera differente.


I tre indici che utilizzeremo sono presi dal rapporto annuale sul benessere equo e solidale (BES) prodotto dall’Istat [ii]. Questo rapporto, con l’utilizzo di ben 130 indicatori analizza le svariate sfaccettature del concetto di benessere nel nostro paese. Il Bes ha il compito di mostrare (e dimostrare) quanto il concetto di benessere sia un insieme di vari fattori economici, sociali e attinenti alla quotidianità degli individui e che sia obsoleto ed inopportuno pensare che il solo Pil sia in grado di esplicare un concetto così complesso (e alle volte soggettivo).

Non è dunque un documento solamente economico, infatti gli indicatori che prende in considerazione si allontanano dalla sola concezione economica del benessere, andando ad osservare tra le tante sfumature anche le relazioni sociali, l’ambiente, il paesaggio, l’istruzione e i servizi pubblici.


E le disuguaglianze territoriali? Nonostante non sia l’argomento cardine dello studio, leggendo tra le righe è possibile notare come gli indicatori del benessere siano enormemente disomogenei focalizzandosi sulla distribuzione degli stessi sul territorio. Usando termini statistici si può dire che l’Italia non è il paese delle medie, ma delle varianze.[iii]

Nonostante la mole della ricerca anche negli argomenti trattati, rimarremo nell’ambito strettamente economico ed analizzeremo il reddito medio pro capite, la grande difficoltà economica e la bassa intensità lavorativa. Logicamente questi indicatori non sono monadi a sé stanti, sono invece interconnessi e si influenzano reciprocamente; il risultato ultimo però è uno solo ed è chiarissimo: lo squilibrio economico nord-sud è palese, mai luogo comune fu più azzeccato.

Reddito medio pro capite


Nello scorso articolo avevamo scoperto quanto spende mediamente ogni famiglia, ora scopriremo quanto mediamente guadagna ogni cittadino. È lecito pensare che questi due indicatori siano correlati? Assolutamente sì.

Il reddito medio pro capite misura la quantità di reddito disponibile per ogni cittadino. Si costruisce sommando insieme i redditi da lavoro, i redditi da capitale e le altre forme di reddito di ogni individuo e poi si divide questa somma per il numero totale degli individui. È un indicatore molto generico in quanto non rappresenta quanto davvero gli individui possono spendere (ossia il reddito disponibile, cioè al netto delle tasse e dei sussidi); non tiene in considerazione il livello dei prezzi, cioè le variazioni dei prezzi dei beni acquistabili a seconda del periodo e territorio presi in considerazione; non osserva le disuguaglianze di reddito tra gli individui di uno stesso territorio, anzi tende ad omogeneizzarle.

La “mancanza” però più grave è quella di non soppesare l’incognita delle fonti di reddito non tracciabili, ovvero il nero; purtroppo è ossimorico pensare di conoscere qualcosa che per sua natura è nascosto.

Nell’analisi territoriale questo indicatore è però utilissimo in quanto ci permette di conoscere sia il reddito medio nazionale, cioè la somma di tutti i redditi degli italiani diviso per il numero degli stessi, sia il reddito medio delle regioni, facendo la stessa operazione regione per regione. Questo ci permette di distribuire la ricchezza nazionale nei territori e, finalmente, conoscerne gli squilibri.





Dal grafico appena riportato[iv] è possibile notare come il reddito medio pro capite sia molto più alto nelle regioni del Nord, e poi, seguendo quasi un ordine geografico, diminuisca progressivamente scendendo verso Sud.

Se vedessimo questo grafico come una gara tra territori, noteremmo che il primo classificato è la provincia autonoma di Bolzano mentre l'ultimo, lo sconfitto, è la Calabria. Questa "classifica" ricalca molto fedelmente quella osservata nello scorso articolo sulle spese medie per consumi. Comparando i dati sulle spese e quelli sul reddito possiamo notare che la relazione tra questi due indici è bell'e chiara. Ricorderemo infatti che la differenza nei consumi tra questi due territori era di 1423 euro al mese. Ora invece la differenza nel reddito è di 13300 euro all’anno (26000 euro di Bolzano vs 12700 della Calabria), ossia 1109 euro di differenza al mese. Più si ha e più si spende; per una volta la statistica è andata di pari passo al buon senso.

Grande difficoltà economica


Questo indicatore segue invece la regola “vox populi vox Dei”. L’Istat nel fare e sue analisi utilizza molto spesso l’opinione della gente, e in quest’analisi ad un campione ben identificato e rappresentativo della popolazione italiana è stata chiesta la domanda: “Tenendo conto di tutti i redditi disponibili, come riesce la Sua famiglia ad arrivare alla fine del mese?”

I pro di questo tipo di ricerca sono i “dati puri”, ossia dati presi direttamente dalla ricerca sul campo che hanno una veridicità e un'aderenza alla "realtà dei fatti" maggiore rispetto ai dati derivati dai macro-indicatori economici; questi infatti sono spesso generici e subiscono storpiature ed approssimazioni eccessive.

I contro a questo tipo di ricerca sono una certa “propensione alla bugia” che potrebbero avere gli intervistati di fronte a una domanda sensibile, come questa appunto. Guardiamo insieme i dati:




Facile osservare la grande differenza nelle risposte spostandoci da una zona all’altra della penisola. Al Sud e nelle Isole hanno risposto di arrivare a fine mese “con grande difficoltà” e “con difficoltà” rispettivamente il 42,8% e il 42,2% della popolazione, doppiando quasi quanti hanno dato la stessa (triste) risposta al Centro e al Nord. Numeri davvero da capogiro.

Generalizzando è possibile affermare che quasi la metà della popolazione meridionale ed isolana arriva a fine mese in condizioni non ottimali, utilizzando un eufemismo.

Bassa intensità lavorativa


Questo indicatore si ottiene osservando il mercato del lavoro, o meglio, osservando i soggetti parzialmente esclusi da esso. Indica cioè la percentuale di persone che vivono in famiglie in cui c’è almeno un soggetto, anche il capofamiglia o l’unica fonte di reddito, in età lavorativa (18-59 anni) che lavora meno del 20% del suo potenziale. Sono esclusi da questo indice gli studenti fino ai 24 anni. Per potenziale lavorativo si intende il monte d’ore di lavoro complessivo in un anno. Quindi lavorare meno del 20% delle proprie possibilità significa trovarsi in una situazione di palese difficoltà economica perché nonostante non si sia completamente disoccupati il reddito complessivo guadagnato a causa dello scarso ammontare di ore lavorative non è sufficiente da solo per l’autosostentamento proprio o famigliare.

La bassa intensità lavorativa si manifesta in zone con un mercato del lavoro meno efficiente e con meno attività economiche. Queste non riescono ad assorbire la grande quantità di richieste di lavoro ed il poco che riescono ad offrire non supera il 20% della capacità produttiva di molti lavoratori. Ciò porta i lavoratori “in semi esubero” ad ottenere salari bassi o stipendi ragionevoli solo per periodi di tempo molto brevi. Come nel caso del reddito medio pro capite, il lavoro nero non è menzionato nello studio ma è sicuramente influentissimo e avrebbe, se analizzato, il suo impatto. Appare facile quindi comprendere che un territorio con un alto livello di questo indicatore sia un territorio economicamente depresso o comunque poco efficiente economicamente.


Come era possibile ipotizzare, al Sud (e nelle Isole) la percentuale di famiglie con almeno un componente a bassa intensità lavorativa nel 2018 è pari a quasi il 20% del totale, un numero molto più alto sia della media nazionale (12%) sia degli altri territori italiani (Centro al 9% e il Nord al 6%).


Per concludere quindi il reddito, la percezione del benessere economico e l’intensità lavorativa presentano dati inferiori al Sud e nelle Isole rispetto al resto dell’Italia. Nulla di nuovo, è vero, ma vedendo il bicchiere mezzo pieno, la conoscenza dei dati può essere un ottimo punto di partenza per la programmazione e la messa in atto di politiche atte a diminuire questi gap.


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