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Immagine del redattoreFrancesca R. Moretti

Il lato economico della lotta alle Mafie: i beni confiscati

Il sequestro di beni alle organizzazioni criminali, sebbene possa sembrarlo, non è un fattore secondario nella lotta alla mafia, avendo questa il potere economico come base del proprio impero. In un sistema in cui l’economia è alla base di ogni relazione umana e sociale, nazionale ed internazionale, anche la criminalità organizzata si rende partecipe del grande gioco economico, muovendo grandi capitali e stanziando a metà tra la luce dell’economia legale, quella afferente agli Stati e ai singoli, e quella illegale, di cui muove le fila a proprio piacimento. Per questo motivo in Italia, nel 1983, fu votata e approvata la legge 646 Rognoni-La Torre, promulgata quattro mesi dopo la morte del politico palermitano, che istituì nel nostro codice penale l’articolo 416bis(I), associazione a delinquere di tipo mafioso. Il nuovo articolo, particolarmente lungo, serviva a differenziare le associazioni a delinquere di matrice mafiosa da quelle comuni, definendo in modo particolare quali fossero i comportamenti e gli scopi che caratterizzano questa particolare fattispecie di reato. Era per l’Italia dell’epoca, che forse aveva a lungo tralasciato la lotta alla mafia per impegnarsi in quella al terrorismo, una novità non da poco, ma non fu l’unica. Il penultimo comma dell’articolo, infatti, recita così: “Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego”. Col 416bis ha quindi inizio la stagione delle confische, un nuovo metodo di colpire la criminalità organizzata. Tuttavia ci vorranno tredici anni prima che, nel 1996, la neonata associazione “Libera”(II), grazie a una raccolta firme, riesca a far approvare una legge di iniziativa popolare che impone il riutilizzo a fini socialmente utili dei beni confiscati, che diventano quindi patrimonio dello Stato. Un altro passo avanti, ancora più significativo, arriva dopo altri quattordici anni, quando con la legge 50/2010, ad oggi recepita nel Codice Antimafia (D.Lgs. 159/2011), viene creata l’“Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, (ANBSC)(III) ente posto sotto la vigilanza del Ministro dell’Interno. Attualmente l’agenzia conta una sede primaria, sita in Roma, e quattro sedi secondarie; Reggio Calabria, Palermo, Milano e Napoli. Il compito dell’ANBSC non è successivo alla sentenza di condanna dell’imputato in base al 416Bis, ma parte già durante la fase del processo, occupandosi della raccolta delle informazioni necessarie alla successiva amministrazione dei beni e alla risoluzione delle problematiche di vario genere che possono sorgere nel procedimento di riutilizzo dei patrimoni confiscati. Attualmente sono oltre trentacinquemila i beni confiscati, divisi tra immobili e aziende, dei quali quasi ventimila già destinati al riutilizzo a fini sociali. Sono stati confiscati beni in tutte le regioni italiane, con nessuna eccezione, partendo dai 3 del Molise per arrivare agli oltre seimila della Sicilia, seguita da Calabria, Campania, Puglia e Lombardia, unica regione del centronord a contare un totale di oltre mille beni sequestrati nel corso degli anni. Il passaggio dalla confisca alla restituzione alla collettività non è però immediato, tanto che attualmente sono ancora in gestione dell’ANBSC più della metà degli immobili e delle aziende tornate sotto il controllo dello Stato grazie all’applicazione del 416Bis. Non solo; anche l’assegnazione di un bene non indica sempre che questo verrà sistemato e riutilizzato in tempi brevi come richiederebbe la legge del 1996, e la stessa legge è spesso inosservata là dove richiederebbe trasparenza completa da parte delle amministrazioni che ottengono la gestione (IV). Spesso, infatti, le notizie che si trovano in merito all’utilizzazione attuale di immobili e aziende sottratti alla criminalità organizzata sono poche e vaghe, quando non totalmente assenti, a fronte di una normativa che chiederebbe proprio il contrario. Dopo essersi battuta per la legge sul riutilizzo l’associazione Libera ha sempre giocato un ruolo importantissimo nella ridestinazione alla comunità dei beni confiscati e sequestrati alle mafie. Pur non gestendo direttamente nessun immobile è per il suo tramite che vengono in contatto fra loro enti della Pubblica Amministrazione ed operatori del Terzo Settore che successivamente si occuperanno dei beni, in particolare organizzazioni di volontariato e cooperazione. L’azione di Libera è inoltre volta a preparare i beni alla loro restituzione alla collettività(V), oltre che a lavorare su tutto il territorio nazionale con progetti di formazione e istruzione dei giovani su ciò che riguarda il contrasto alla criminalità organizzata. Dal 2015 sono per questo attivi “I campi della legalità – Progetto Libera Terra”, campi estivi per ragazzi e adulti che si svolgono proprio su terreni confiscati alle mafie, con attività di volontariato, riqualificazione e informazione sul fenomeno mafioso e sulle storie di chi l’ha combattuto.


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