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Le occasioni perdute e le nuove occasioni, il Sud e i fondi europei

Aggiornamento: 6 lug 2020


L’obiettivo iniziale e l’obiettivo principe dell’Unione Europea è quello di creare un mercato comune unico e in concorrenza, dove tutti gli Stati membri possano liberamente scambiarsi persone, merci e capitali. Fin dai tempi dei trattati istitutivi si notò che fosse praticamente impossibile arrivare a competere equamente all’interno del mercato comune a causa dei fortissimi squilibri in un’Europa che era sempre stata divisa (anche) economicamente e martoriata dalla guerra in modo diverso.


Aprire i confini nazionali in quelle condizioni portò a peggiorare una situazione già complessa, in quanto i territori già forti economicamente portarono a sé migliaia di vera e propria manovalanza stagionale proveniente dei territori più deboli (Sud Italia in primis), riducendo la forza lavoro lì presente e indebolendo ancora di più il già fragilissimo panorama economico (il disastro di Marcinelle è la fotografia più forte e dolorosa di questo periodo).


Per questo motivo si crearono diversi fondi europei, finanziati dagli stessi membri, il cui importo venne ridistribuito non agli Stati, ma direttamente alle regioni che si trovavano in difficoltà economica. La commissione definì come parametro per identificarle il pil pro capite regionale in rapporto al pil pro capite europeo. Dal 1989 (primo ciclo di fondi) tutte le regioni che avevano un pil pro-capite inferiore al 75% di quello europeo ebbero ingentissime somme di denaro, denaro devoluto direttamente alle autorità territoriali, senza intermediazione Statale. L’Italia era lo Stato con più territori in difficolta, infatti tutte le regioni del Sud, le Isole e anche l’Abruzzo avevano un pil pro capite inferiore al 75% di quello Europeo. Insieme all’Italia tante altre regioni Europee usufruirono dei fondi (l’Irlanda, il Portogallo, alcune regioni Francesi, Inglesi, Spagnole, la ex DDR, l’Epiro e tutti gli stati dell’ex patto di Varsavia).

Questa la situazione nel primo ciclo 1989-1993

Questa la situazione nel ciclo appena concluso 2014-2020, le zone di sottosviluppo (rosse nella cartina) in Italia permangono.





A distanza di 31 anni tutti i territori Europei grazie a questi fondi di coesione hanno migliorato le proprie condizioni economiche e sociali. Ciò è stato possibile con investimenti in infrastrutture pubbliche, progetti di potenziamento scolastico (PON e POR) e fondi alle imprese private. Questo ha portato a pareggiare o addirittura superare il Pil medio Europeo.

Solo una nazione non ha sfruttato questa occasione: l’Italia, dove i territori già depressi nel 1989 hanno continuato ad arrancare nel pantano del sottosviluppo economico, nonostante la pioggia di miliardi arrivata negli anni.


Le domande da porci quindi sono queste: come è possibile che il Sud non cresca come gli altri territori depressi dell’Ue? Per quale motivo nonostante siamo il paese che riceve fondi da più tempo, i risultati sono sempre gli stessi?


La risposta comprende svariati problemi interconnessi tra loro tra cui i tempi della burocrazia, la zavorra del debito pubblico, il barocchismo di procedure Europee e nazionali sulla distribuzione dei fondi ed infine, dulcis in fundo, un grande lassismo e superficialità delle amministrazioni territoriali, francamente incapaci di gestire con un’ottica di lungo periodo i fondi a loro devoluti.


Il lassismo è facilmente spiegabile con pochi esempi. I fondi europei hanno durata settennale; se questi soldi non vengono stanziati nel tempo stabilito (tre anni) tornano al mittente, quindi è importante spenderli. Spesso però la programmazione degli interventi è inesistente fino a pochi mesi prima della riconsegna, quindi le amministrazioni territoriali devolvono ingentissime risorse per interventi “polvere,” ossia finanziare progetti semplici, poco dispendiosi ed economicamente inutili con il solo obiettivo di spendere tutto quello che hanno. Un altro esempio è quello di devolvere i fondi europei ad interventi pubblici già in corso o addirittura terminati, già finanziati precedentemente con risorse nazionali, con il solo obiettivo di usare questi fondi che altrimenti andrebbero persi e risparmiare le già centellinate risorse nazionali; è il caso della Metropolitana di Napoli. Il problema in questo caso è che si ha la possibilità di duplicare gli investimenti (nazionali ed europei) ma si sceglie di usare solo i fondi europei, che vanno a coprire le infrastrutture e piani pensati e finanziati con fondi nazionali.


Queste sono le occasioni perdute del Sud per crescere: con la valanga di euro devoluti si potrebbe ridisegnare il panorama economico e sociale digitalizzando, puntando sulla green economy, con un piano infrastrutturale degno da paese del primo mondo, potenziando il tessuto lavorativo e scolastico con progetti di formazione e introduzione nel mondo del lavoro efficaci. Si potrebbe, si, ma si preferisce spendere in fioriere o in ristrutturazioni inutili; si preferisce finanziare con fondi europei progetti già finanziati da risorse nazionali, si preferisce guardare il dito piuttosto che puntare alla Luna.


Ma si sa, chi è ragion del suo male pianga sé stesso, e stavolta abbiamo da piangere sul serio, soprattutto se ci affacciamo al balcone e vediamo come gli altri Stati hanno utilizzato i fondi in maniera oculata, crescendo grazie all’integrazione europea (Polonia e Irlanda in testa).


Guardando in avanti la situazione non è così disastrosa come può sembrare in un primo momento, non mancano i fondi o le possibilità, manca la voglia, manca la propensione al lungo periodo, manca la capacità di una certa amministrazione di rischiare e prendersi i meriti delle proprie scelte. Nulla di insormontabile però. Ecco perché nuove occasioni.


Nuove occasioni che si vedranno nel nuovo ciclo 2021-2028 e soprattutto nelle deroghe alla farraginosa procedura di devoluzione e utilizzo dei fondi causa Covid 19. Pare infatti che sarà possibile non riconsegnare più i fondi devoluti e ci sarà la possibilità di utilizzarli per ambiti e settori non menzionati nei cicli precedenti, con un forte implemento per la sanità pubblica e la ricerca scientifica. Tutto è ancora in uno stato pressoché magmatico, solo i prossimi summit europei delineeranno meglio la situazione e ci faranno scoprire le nuove opportunità, facendo finta le che vecchie non ci siano state, della politica di integrazione europea.

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