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Non è un paese per giovani

Il famoso film americano dei fratelli Coen “Non è un paese per vecchi” mostra una situazione quasi surreale nella quale la vita o la morte dipendono da un lancio di una moneta e dove una singola scelta sbagliata può portare a forti conseguenze. I Coen descrivono un mondo dove solo i più giovani e forti possono forse sopravvivere, mentre i vecchi periscono. Beh, che dire, anche in Italia la situazione può essere definita quasi surreale, ma questa volta ad essere spacciati sono principalmente i giovani, da qui il nostro titolo “Non è un paese per giovani”. I giovani, In Italia, possono avere un futuro? Questo paese ancora offre delle opportunità lavorative al pari di altri paesi europei? Per poter cercare di rispondere a questo tipo di domande è fondamentale andare a capire come la situazione nel mercato del lavoro stia cambiando nel tempo e, soprattutto, quali sono le principali differenze in reddito e opportunità tra le varie generazioni del Bel Paese. In questo articolo cercheremo di analizzare come il gap generazionale e il background familiare determinano opportunità di realizzazione personale e di reddito nei giovani.


Partiamo innanzitutto dalla definizione di gap generazionale. Il gap generazionale è dato dalle differenze tra generazioni successive, e quindi potenzialmente anche tra genitori e figli, per quanto riguarda le idee, il comportamento ed i vari aspetti della vita (1). In tema di povertà, analizzeremo il gap generazionale principalmente dal punto di vista del reddito e delle opportunità lavorative. L’Italia si mostra, come detto in precedenza un paese per “vecchi” (Figura 1). I redditi più alti corrispondono alle fasce di età più adulte della popolazione (dai 56 anni in su), mentre la fascia più giovane (under 40) è connotata da un reddito più basso. Una situazione simile si scorge analizzando gli individui a rischio povertà. Gli under 45 hanno una maggior possibilità di cadere in una situazione di povertà che risulta quasi doppia rispetto alle generazioni over 65 (2). In sintesi, le nuove generazioni tendono ad avere redditi inferiori ai propri genitori e ad essere a maggior rischio povertà.


Figura 1: Il reddito degli Italiani per età (Fonte: Il Sole 24 Ore, 2018)


A questa già precaria situazione, si aggiunge il noto problema del trascinamento della ricchezza. Il trascinamento della ricchezza è un fenomeno che descrive come le generazioni più anziane invecchiando stiano portando con loro la maggior parte della ricchezza del paese a scapito delle generazioni più giovani. Difatti, in Italia, negli ultimi decenni la ricchezza è cresciuta il doppio della produzione. Cosa significa questo? In parole semplici, gli italiani hanno avuto una maggiore tendenza ad accumulare denaro rispetto a far funzionare l’economia del paese attraverso investimenti e creazione di nuovi posti di lavoro. Tutto questo ovviamente contro gli interessi delle più giovani generazioni e rischiando di creare nel lungo periodo una forte tensione sociale all’interno di un paese già diviso storicamente (3; 4).


Un altro fattore fondamentale per la creazione di opportunità e reddito degli attuali giovani è il background familiare. Difatti lo status economico-sociale, il livello di istruzione, il benessere e più ampiamente l’ambiente dove si cresce condizionano il successo dei figli dai banchi di scuola fino all’inserimento nel mercato del lavoro. Secondo l’Oxfam (Oxford Committee for Famine Relief), infatti, “L’Italia si colloca tra i Paesi con una forte influenza delle origini familiari sul successo occupazionale dei figli e la persistenza generazionale dei redditi” (5). Ma perchè chi nasce in una famiglia abbiente tende ad avere maggiori opportunità, specialmente in Italia? La risposta è contenuta in tre semplici parole: assenza di mobilità sociale. Come già riportato da Dispari, nelle ultime generazioni non solo si riscontrano meno possibilità di migliorare la propria posizione sociale rispetto a quella dei genitori, ma si ha anche un maggiore rischio di peggiorare il proprio status. Nel contesto italiano anche la leva fiscale non è di aiuto difatti Oxfam Italia, nel report “Non rubateci il futuro. I giovani e le disuguaglianze in Italia” (2019), dichiara che nel 2018 circa il 70% dei giovani aventi un reddito medio-basso retrocedeva per effetto della leva fiscale e trasferimenti monetari pubblici (6).


In una situazione che non permette ascesa sociale, il background familiare diventa quindi ancora più importante, pertanto due stessi cittadini italiani con status socio-economico familiare diverso, tenderanno a non avere pari opportunità sin dall’ingresso nel sistema scolastico. Di certo è evidente come coloro che provengano da background abbienti abbiano maggiori possibilità di investire in percorsi di formazione aggiuntivi che aumentino le opportunità sul mercato del lavoro e conseguentemente il reddito futuro dell’individuo. In parole semplici, “le disuguaglianze di reddito dei genitori diventano, in sostanza, disuguaglianze di istruzione dei figli che si trasformano, a loro volta, in disuguaglianze di reddito, replicando, sebbene con intensità diversa, quelle che esistevano tra i rispettivi genitori” (Oxfam Italia, 2019). Anche a parità di titolo di studio il background familiare risulta determinante per le opportunità nel mondo del lavoro. Oxfam Italia riporta infatti come il figlio di un dirigente guadagni mediamente quasi il 20% in più rispetto al figlio di un impiegato anche a parità di livello di istruzione.


Il quadro descritto risulta molto complesso e contorto. Per risolverlo bisognerebbe implementare delle policy per favorire l’ingresso nel mercato del lavoro ai giovani, in maniera prioritaria a quelli provenienti da ambienti familiari meno abbienti. Molto facile a dirsi, no? Purtroppo all’interno di un società complessa come quella italiana, le dinamiche e gli interessi dei diversi individui sono spesso in contrasto. Se da un lato abbiamo persone provenienti da classi sociali medio-basse che cercano un riscatto del proprio status socio-economico dall’altro troviamo la rigidità di coloro che appartengono alle fasce più ricche del paese che vogliono mantenere il proprio posto nella società. A questi incompatibili interessi si affiancano le differenze intergenerazionali che connotano il tessuto economico italiano e che vedono le generazioni più anziane sopraffare le più giovani, soprattutto dal punto di vista reddituale.


In un paese che, almeno di facciata, auspica uguaglianza e pari opportunità ai propri cittadini questa situazione è assolutamente intollerabile. Assicurare questi due valori è una necessità politica ma soprattutto morale. Una repubblica democratica dovrebbe garantire uguali punti di partenza a tutti i cittadini attraverso, per esempio, l’incremento della spesa pubblica per potenziare soprattutto quelle realtà con maggior disagio sociale e permettere un più facile accesso all’istruzione. Per quanto riguarda il mercato del lavoro potrebbero essere introdotte varie misure per la riduzione della disoccupazione giovanile. Il salario minimo giovanile e le reti di protezione sociale per le classi più giovani potrebbero essere un ottimo punto di partenza se affiancate da politiche economiche orientate a favorire la formazione e l’introduzione dei giovani nel mondo del lavoro (6). Insomma, qualcosa si potrebbe di certo fare per garantire un futuro in Italia. La vera domanda che a questo punto sorge spontanea è: riusciremo a farlo? Al momento la risposta sembra negativa, purtroppo il nostro Bel Paese non è ancora un paese per giovani.




Referenze

  1. Vocabolario Treccani

  2. Davide Mancino, Chi sono i nuovi poveri? Il reddito è una variabile generazionale (2018), Politica, Il Sole 24 Ore.

  3. Monti, Luciano (2016). “Politiche dell’Unione Europea, la programmazione 2014-2020”. Manuali LUP, LUISS University Press.

  4. Monti, Luciano (2020). EU Politics course, slides, LUISS University.

  5. Disuguaglianza, ecco perché l’Italia non è un Paese per giovani (2020), Green Report.

  6. Non rubateci il futuro. I giovani e le disuguaglianze in Italia (2019), Oxfam Italia

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