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Perché le leggi sui diritti civili in Italia non piacciono a nessuno

Aggiornamento: 20 lug 2020

Si è da poco concluso il Pride month che quest’anno si è trovato a spogliarsi della sua grande parata arcobaleno e si è cimentato in tanti piccoli eventi virtuali volti al dialogo e alla comprensione. Infatti, in Italia come altrove, non sempre vi è comprensione delle realtà coinvolte nella sigla LGBTQI+ [lesbiche (L), gay (G), bisessuali (B), transgender (T), queer (Q), intersessauli (I)]. Sotto questa sigla vengono raccolte, non solo le persone non eterosessuali e quindi non attratte dall’altro sesso, ma anche le persone transgender, cioè coloro che non si identificano con il loro sesso biologico. Ecco allora i primi due strumenti per non confondersi ed orientarsi nell’universo LGBTQI+: orientamento sessuale e identità di genere, che non sono la stessa cosa, ma che contribuiscono, entrambe, all’autodeterminazione personale, diritto fondamentale ed inviolabile dell’uomo.

Chiarito questo punto, passiamo ad esaminare la situazione in Italia dal punto di vista della salvaguardia, o meno, dei diritti della comunità LGBTQI+. Negli ultimi anni, infatti, la tutela dei diritti civili LGBTQI+ è stata più volte protagonista del dibattito politico nel nostro paese. In questo contesto va citata la sentenza n. 4184/2012[1] della Corte di Cassazione, dove per la prima volta si fece riferimento al diritto alla vita familiare, che, secondo i giudici, trovava fondamento tanto nell’art. 2 (la Repubblica ha il compito di di garantire “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”) quanto nell’art. 3 (principio di uguaglianza formale e sostanziale) della Costituzione Italiana. Dal 2012 arriviamo subito al 2016 anno nel quale, come molti ricorderanno, fu promulgata la legge n. 76 del 20 maggio, anche nota come legge Cirinnà[2]. L’importanza di questa legge sta nell’introduzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso nell’ordinamento giuridico italiano. La legge riprende molti istituti del Codice civile italiano in materia di matrimonio, come ad esempio il diritto e dovere alla cura e all’assistenza in caso di malattia, o ancora, la comunanza dei beni e altre prerogative amministrative tipiche del matrimonio. Nonostante questo, però, i due istituti non sono equiparati. Una delle maggiori differenze tra unione civile e matrimonio riguarda la genitorialità e la possibilità di adozione. Infatti, mentre l’adozione è in qualche modo possibile attraverso, anche per le coppie omogenitoriali, iter molto lunghi e specifici, o adottando in altri paesi che lo consentono, la stepchild adoption (adozione del figlio del coniuge) non rientra tra gli articoli della legge Cirinnà.


In Europa. sono molti i paesi, come la Francia, l’Inghilterra, ma anche la Spagna e il Portogallo, che hanno già da tempo equiparato i matrimoni LGBTQI+ ai matrimoni eterosessuali. L’Italia, come si può vedere da uno studio dell’associazione Rainbow Europe[3], si trova invece tra i paesi di mezzo: unioni civili sì ma adozione no, riconoscimento della comunità LGBTQI+ come minoranza da tutelare sì. ma una legge sull’omobilesbotransfobia[4] no. Questa situazione mediana, ovviamente, non accontenta né la fazione più conservatrice del paese, né la comunità LGBTQI+ che non vede equiparati i propri diritti a quelli degli altri cittadini, subendo così una discriminazione in base all’orientamento sessuale o alla propria identità di genere. Questa discriminazione non è solo di genere giuridico ma, spesso, si manifesta attraverso discriminazioni personali e fisiche, come si può evincere dal grafico sottostante[5] e dai diversi studi portati avanti anche dall’Unione Europea[6]. Ad esempio, usando solamente i casi di cronaca sui giornali, Arcigay ha riportato 187 casi di omobilesbotransfobia nel periodo compreso tra maggio 2018 e maggio 2019: 68 in più rispetto all’anno precedente.

È per questo motivo che l’Unione Europea e il report dell’organizzazione ILGA[7] hanno chiesto all’Italia di introdurre una legge che sanzioni l’omobilesbotransfobia, in quanto violenza di genere. È così che l’Italia, dove il 68% dei cittadini dichiara di essere a favore dei diritti civili a tutela della comunità LGBTQI+, si avvia verso una nuova pagina legislativa. Infatti, il primo luglio, è stato depositato presso la Commissione Giustizia della Camera il ddl contro la omobilesbotransfobia altrimenti detto legge Zan[8] dal nome del suo primo firmatario e relatore. La legge modifica gli articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale e introduce il reato di omobilesbotransfobia, estendendo le leggi Mancino e Reale, che puniscono i reati e i discorsi d’odio fondati su caratteristiche personali quali la nazionalità, l’origine etnica e la confessione religiosa. La nuova legge punta ad ampliare questo concetto e a individuare come atti discriminatori anche quelli basati “sul genere, l'orientamento sessuale o l'identità di genere” introducendo l'orientamento sessuale e l'identità di genere all'interno dell'attuale impianto giuridico in materia di reati e discorsi d'odio.

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