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Quando il capitalismo si tinge di arcobaleno

Aggiornamento: 28 set 2021

[Disclaimer: questo articolo é stato scritto durante il mese del pride. Delle ingenue esortazioni di cui si faceva portavoce non resta che un’amara constatazione: il rainbowwashing é un fenomeno attuale e pericoloso, tanto subdolo da essere onnipresente. Si appropria degli spazi della comunità LGBTQIAPK+ nei momenti di lotta collettiva così come nella quotidiana incorporazione della liberazione individuale. Non si esaurisce - purtroppo! - nella fugace parentesi di giugno, sebbene trovi in essa imperdibili occasioni di produzione e guadagno. Diventa un vero e proprio fenomeno sociale che influenza il pensiero politico interno ed esterno alla comunità.]

Giugno è il mese del pride.

Trenta giorni dedicati alla celebrazione delle lotte di tutte le soggettività LGBTQIAPK+.

Sono giorni di gioia e di difficoltà, di coesione e memoria: affondano le loro radici nella storia delle prime rivolte dello Stonewall Inn (per cui si veda questo articolo) e dei movimenti sociali per la giustizia di classe, e ribadiscono la loro pertinenza contingente alla contemporaneità. È importante ricordare, infatti, che le necessità di rivendicazione della comunità LGBTQIAP+ non possono di certo dirsi soddisfatte. È importante ricordarlo perché anche questo mese, come da diversi anni, le vetrine dei negozi più frequentati si tingono dei colori dell’arcobaleno; calzini, magliette, borsette saranno decorate con qualche striscia colorata o con slogan con cui l’azienda in questione si fa paladina dei diritti civili.


In questo trionfo di arcobaleni e bandierine è facile dimenticare l’importanza di questi simboli e, talvolta, le forme di oppressione messe in atto da chi se ne appropria. Soprattutto, è possibile che si dimentichi l’incessante e necessario dialogo tra diritti civili e sociali, che si intersecano radicalmente e non procedono che insieme.

I simboli sono spesso la forma più tangibile dell’identità individuale e collettiva: in essi ci si riconosce e si configura l’appartenenza a una comunità. Non è casuale infatti che l’importanza del simbolo emerga spesso nel passaggio dall’insorgenza spontanea alla politicizzazione - da leggersi come istituzionalizzazione - di movimenti, ideologie, religioni. In quest’ottica, il simbolo è naturalmente una semplificazione del messaggio di cui si fa carico. E per questo la coscienza di chi ne fa uso, specialmente per un grande pubblico, non può prescindere dal significato. Non poter prescindere significa riconoscere la discriminazione multisituata della comunità che ci si racconta di rappresentare; significa conoscerne l’intersezione con questioni di classe, genere e nazionalità; significa soprattutto agire coerentemente per favorire l’accesso e la permanenza di tutt3 al mercato del lavoro di cui le aziende si fanno protagoniste.



In termini concreti: il potere d’acquisto della comunità LGBTQIA+ è stimato intorno ai 3.7 trilioni di dollari. In termini proporzionali, inoltre, la costante mancanza di rappresentazione di temi e storie della comunità può portare a un aumento esponenziale nelle vendite di qualsiasi prodotto che contraddica questa tendenza, specialmente nel mese del pride. Le logiche del profitto che sottendono all’economia di mercato adattano dunque facilmente l’offerta alla domanda, che è in realtà una richiesta di maggiore inclusione e visibilità di cui il Rainbow Washing offre solo una parvenza. Perché quando cola via quella spruzzata di arcobaleno la realtà si mostra in tutta la sua disparità, e si riconosce la matrice sistemica comune alle diverse discriminazioni. Non solo, inoltre, la rappresentazione semplicistica racchiude sotto un ombrello arcobaleno soggettività diverse e ne esclude altrettante - basti pensare a come le persone asessuali siano spesso escluse dalla rappresentazione, o come le comunità queer nere e latine, da cui per altro il pride ha origine, non vengano incluse in una retorica bianca e liberale.


Il discorso si sviluppa attorno a una retorica di presunta uguaglianza che attiene altresì alla dimensione politica. L’accentramento del capitale economico nelle mani dell’egualitarismo delll'Occidente si configura come un’inevitabile conseguenza della superiorità morale, in un binarismo artificiale tra la modernità e l’arretratezza. I diritti della comunità sono in quest’ottica strumentalizzati e adottati come bandierina coloniale da sventolare di fronte a paesi la cui disparità è da ricondursi a quello che è presentato come un differente livello culturale. Non è un caso infatti che all’interno del piano di marketing “Brand Israel” - il cui scopo si configurava come una rappresentazione progressista e inclusiva di un’entità che attua al contempo un regime di apartheid su un’intera popolazione - comprendesse tra gli obiettivi il ricorso a narrazioni liberali e “gay-friendly” di quella che - anche per questi motivi - viene poi etichettata come unica democrazia dell’Occidente. Ciò che da questa narrativa è escluso sono però i diritti di tutt3, l’orizzontalità della giustizia sociale che per definizione non prevede discontinuità tra diritti civili e sociali. Non è raro inoltre che grandi aziende statunitensi che abbelliscono i loro loghi con i colori dell’arcobaleno finanzino poi partiti omolesbobitransfobici.


Il problema del Rainbow Washing è dunque una questione politica, sociale ed altresì individuale. Non dimentichiamo infatti l’ipersemplificazione dell’orgoglio queer che ne sottovaluta le condizioni contingenti e personali. Per molte persone della comunità, il coming out rimane un’ipotesi improbabile, difficile, pericolosa. Mercificare i simboli del pride senza minimamente tenere in considerazione le condizioni d’oppressione per cui quell’orgoglio deve ancora farsi così coraggioso significa contribuire alla discriminazione.


Referenze


Audrey Hickeyy (2019) Have You Been Tricked by Rainbow Washing? https://medium.com/@audreyhickey/have-you-been-tricked-by-rainbow-washing-920b5f91377f


Francesca Romana Ammaturo (2016) Spaces of Pride: A Visual Ethnography of Gay Pride Parades in Italy and the United Kingdom,Social Movement Studies,15:1,19-40,DOI: 10.1080/14742837.2015.1060156


Valentina Spotti (2020) Pinkwashing e Rainbow Washing: Quando i Brand Vestono la Bandiera Arcobaleno,Tech Economy 2030 https://www.techeconomy2030.it/2020/02/03/rainbow-washing/

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