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Recovery Fund tra realtà e politica


Come analizzato in un articolo precedente [i]le occasioni di crescita e di sviluppo del Meridione passano necessariamente per una serie di investimenti pubblici, nazionali ed europei, coordinati in un piano organico e ben strutturato da una politica locale lungimirante.

Fino ad ora di questi elementi fondamentali si sono visti solo i fondi, che sono stati distribuiti a pioggia senza diventare investimenti fruttuosi ed economicamente significativi.

Per ironia della sorte, pare che questa situazione di stallo pluridecennale possa smuoversi “grazie” alla pandemia di covid 19. Infatti l’Unione Europea per fronteggiare una situazione inimmaginabile ha messo in gioco soluzioni inimmaginabili fino a pochi mesi fa, ovvero il recovery fund.


Questo è un piano di sostegno alle economie dell’Unione severamente piegate a causa della pandemia da sars-cov2 e dal lockdown di Marzo ed Aprile. Finanziato con fondi europei e (finalmente) con debito comunitario, il fondo pare lo strumento ideale, grazie ai 209 miliardi destinati al Bel Paese, per azzerare la forbice tra Nord e Sud e per ripartire da questa crisi economico-sanitaria finalmente uniti, dopo 160 anni di questione meridionale[ii].


Nonostante la crisi sanitaria si sia localizzata principalmente al Nord, gli analisti dello SVIMEZ hanno affermato che gli impatti economici abbiano unito il paese. Secondo il loro report[iii], ipotizzando che non ci siano nuove chiusure, il pil scenderà quest’anno del 8,4% al Nord e del 7,9% nelle regioni del Sud.

A questa percentuale però bisogna sommare la debolezza strutturale e la situazione di sostanziale recessione economica meridionale, che a 12 anni dalla crisi del 2008 vede il proprio pil inferiore di ben 15 punti percentuali dai livelli precrisi (contro i 7% del Nord).


In questa condizione di disastro economico l’aria che si respira è però quella della speranza. La classe politica ha finalmente capito che il recovery fund è l’ultima grande occasione per far cambiare marcia al paese e farlo diventare a doppia trazione (e non solo a trazione settentrionale).

Le dichiarazioni che si ascoltano in questi giorni hanno tutte lo stesso messaggio "L'Italia non crescerà mai se non si risolve la questione meridionale"[iv] dice il ministro dell’economia Gualtieri intervistato da Lucia Annunziata, "È il rilancio del Sud la chiave per ripartire" [v] dice la ministra dell’agricoltura Bellanova, "ll Sud, un problema europeo, il divario blocca tutta l’Italia. Il recovery fund è un'occasione storica" afferma il presidente del Parlamento europeo David Sassoli.


La classe politica dovrà quindi dimostrare la propria maturità, ora che scuse non ce ne sono davvero più. Occorre quindi fare osservazioni sulla specialità della situazione in cui ci troviamo e sull’opportunità che dobbiamo cogliere. Per prima cosa è importante rendersi conto della mole degli aiuti: oltre al recovery fund si dovranno utilizzare anche i fondi di cooperazione Europei per una cifra complessiva comunitaria di ben 1074,3 miliardi; inoltre la BCE si impegna a comprare titoli di debito pubblico degli Stati membri per 1.350 miliardi.


In secondo luogo quest’enorme ammontare monetario sarà anche più semplice da spendere in quanto l’Unione ha sospeso per l’utilizzo di questi fondi i vincoli finanziari del patto di stabilità e il divieto sugli aiuti di Stato alle imprese private. Questo porterà i policy makers nazionali ad avere maggiore libertà sulle scelte di intervento. Senza i vincoli comunitari saranno loro gli unici attori pubblici sulla quale far ricadere la responsabilità delle loro scelte.

Per ultimo, è importante ricordare che il governo Gentiloni con il “decreto Mezzogiorno” del 2016 ha imposto la clausola che il 34% degli investimenti fosse destinato al Sud. La ratio fu quella di fare in modo che la distribuzione delle risorse rispettasse quella della popolazione all’interno del territorio nazionale senza dirottamenti di fondi in zone a “più facile investimento”. Questo porta quindi nelle casse del Mezzogiorno un utile di ben 70 miliardi.


Ricapitolando quindi, nei prossimi mesi il nostro paese avrà l’onere di amministrare una mole mai vista prima di fondi europei, con maggiore flessibilità e possibilità d’azione ma con la clausola che un terzo di questi vengano utilizzati per il Sud. Possiamo dire senza ombra di dubbio che era quello che tutti stavamo aspettando.


Ad ora però, siamo ancora in uno stato di assoluta confusione in quanto non è ancora chiara quale sarà la governance che deciderà la distribuzione e la gestione concreta dei fondi, non sappiamo ancora quanto sarà lungo l’iter di approvazione europeo e non sappiamo, logicamente, le mosse e le reazioni dei cosiddetti "Stati Frugali". Questi infatti hanno ottenuto in sede negoziale la possibilità che ogni Stato possa porre in sede di Consiglio la possibilità di posticipare l'approvazione di un piano nazionale di riforma [vii]di un membro terzo, se non sono d'accordo al piano presentato. Questa è una vera e propria gabbia per il nostro Paese, che potrebbe essere vincolata al volere di un unico Stato.


Tutto quello che abbiamo attualmente è la fiducia in un cambiamento repentino della situazione economica e sociale nazionale ma soprattutto meridionale, di un rammodernamento infrastrutturale e di una transizione digitale e verde. Certo è che di occasioni simili ne abbiamo avute anche in passato e, forse, se la classe politica è la stessa, anche i risultati potrebbero essere gli stessi. Bisogna però ammettere è che le intenzioni (e le dichiarazioni) dei politici nostrani per per ora sono molto buone. Non ci resta quindi che sperare che almeno quest'occasione, l'ennesima, non sia il classico fuoco di paglia.



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