Il dibattito pubblico sulla riduzione del numero dei seggi in Parlamento che si sta sviluppando in questi giorni si è focalizzato su un’affermazione, che i gruppi a favore della riforma ripetono come un mantra: “è necessario effettuare il taglio dei parlamentari per riportare l’Italia in linea con la media europea”. Questa posizione si basa su un fondo di verità? Il nostro Paese ha davvero “troppi” rappresentanti alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, rispetto alle altre Nazioni europee?
Un aiuto concreto per fare luce sulla questione ci arriva dal dossier del Centro Studi del Senato dello scorso 16 ottobre 2018[1], che analizza il rapporto fra eletti e popolazione in diversi Stati d’Europa e li confronta con l’attuale numero dei rappresentanti del Parlamento italiano e con quello previsto dal testo della riforma costituzionale.
La più piccola Assemblea legislativa del continente (Cipro – 56 deputati) ha un rapporto di 6,5 eletti ogni 100.000 abitanti mentre Francia, Spagna e Germania hanno un rapporto di 0,9 deputati ogni 100.000 abitanti. Particolarmente alto è il rapporto in Estonia (7,7 ogni 100.000 abitanti), Lussemburgo (10 ogni 100.000 abitanti), Malta (14,3 ogni 100.000 abitanti) che si affiancano ai Paesi più grandi come Finlandia (3,6 ogni 100.000 abitanti), Polonia (1,2 ogni 100.000 abitanti) e Svezia (3,4 ogni 100.000 abitanti) i quali fanno registrare tutti un rapporto più alto dell’Italia.
Il Parlamento italiano ad oggi detiene un rapporto eletti/abitanti pari a 1 ogni 100.000 (al pari del Regno Unito); rapporto che scenderebbe a 0,7 nel caso la riforma costituzionale venisse approvata dal referendum popolare dei prossimi 20 e 21 settembre 2020.
Sulla base di questi dati appare quindi fuorviante affermare che la media europea sia inferiore rispetto all’attuale livello di rappresentanza garantita dall’odierna ripartizione dei seggi alla Camera e al Senato.
Al netto delle divisioni ideologiche, è prioritario garantire un corretto accesso alle informazioni agli elettori che dovranno scegliere in piena coscienza e senza essere influenzati da quella che appare più come propaganda di comodo che volontà di rendere i cittadini partecipi di un processo decisionale trasparente e chiaro.
Non sarebbe meglio basare la campagna referendaria sul confronto concreto fra i pro e i contro della modifica costituzionale? È proprio necessario raccontare irretire cittadine e cittadini? Queste domande potrebbero sembrare retoriche e strumentali ma rappresentano plasticamente la differenza fra un confronto utile fra posizioni diverse e la volontà di condizionare il dibattito pubblico basandosi sulla propaganda vuota di dati statistici.
Opmerkingen