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Rinascita Scott: la storia del più imponente processo alla Ndrangheta

È la mattina del 19 Dicembre 2019(I), una settimana al Natale.

Di Covid ancora neanche si parla, lockdown è una parola sconosciuta per quasi tutti e il 2020 alle porte sembra l’ennesimo nuovo inizio.

Non è così però per le più di 300 persone indagate nel Vibonese nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita Scott”, indagine chiave sulla ‘Ndrangheta del nuovo millennio.


Definita “pietra angolare nella conoscenza della ‘ndrangheta e di questa nuova frontiera”(II) da Nicola Gratteri, Procuratore Capo di Catanzaro, la vicenda riguarda ad oggi oltre 400 persone, per le quali il processo è iniziato lo scordo 11 settembre a Roma, con la speranza di spostarlo a Lamezia Terme quando sarà ultimata l’aula bunker nel tribunale di questa.

Oltre agli arresti l’operazione di dicembre portò alla confisca di patrimoni per quasi quindici milioni di euro. In quella mattinata di fine anno le manette scattarono ai polsi di 260 persone, più altre settanta sottoposte al regime degli arresti domiciliari.


Non solo nel Vibonese, però: l’imponente operazione antimafia – 2500 gli uomini impiegati da diverse unità dei Carabinieri – ha raggiunto i suoi obiettivi in diverse regioni italiane (Lombardia, Piemonte, Veneto, Liguria, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Sicilia, Puglia, Campania e Basilicata) e fuori dai confini nazionali, in Svizzera, Germania e Bulgaria.

Una nuova dimostrazione, ammesso che ve ne fosse bisogno, della delocalizzazione della criminalità organizzata: anche la mafia si trova a suo agio nel mondo globalizzato, parte e si radica là dove prima non lo si poteva neanche immaginare, si muove fisicamente e attraverso i suoi capitali, facendosi strada intorno al globo proprio come fanno le grandi imprese.

Più di altri cento indagati si sono aggiunti nel corso del tempo, arrivando al totale di 452 imputati presentati davanti alla corte all’inizio del processo.


Tanti gli imputai, tanti i capi di accusa mossi dagli inquirenti: associazione mafiosa, omicidio, estorsione, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, oltre ad altri reati aggravati dalle modalità mafiose.

I reati classici della criminalità organizzata, legati al potere, al denaro e alla sua circolazione, al controllo del territorio.

L’ordinanza di custodia cautelare contava 13500 pagine, di cui 250 usate per il riordino e la sistematizzazione delle accuse mosse agli imputati. 13500 pagine per ricostruire minuziosamente vita, morti e miracoli, economici e non, delle cosche del Vibonese, del sistema di una nuova Ndrangheta.


L’inchiesta si chiude sei mesi più tardi, a metà giugno 2020. (III)

Arrivati a questo punto gli indagati sono 479, e anche la lista dei reati si è ampliata, andando a comprendere il traffico di stupefacenti, operazione da sempre cara alla criminalità organizzata e rispetto a cui sicuramente i Vibonesi non fanno eccezione: le persone indagate per reati connessi alla droga sono circa sessanta, i canali preferenziali per l’approvvigionamento delle sostanze l’Albania e il Brasile.

La droga arriva da est e da ovest, fa tappa in Calabria e poi risale la penisola per essere vendute nelle piazze di spaccio di tutto il paese. Ingenti i quantitativi di droga sequestrati nel corso delle indagini nella sola provincia di Vibo: un chilo di cocaina, 81 chili di marijuana, 3952 piante di canapa indiana, 25 chili di hashish, 89 grammi di eroina, 11 grammi di funghi allucinogeni e 27 pasticche di ecstasy.


Se questo non bastasse, se i numeri non fossero sufficienti a spiegare quanto imponente sia stata l’operazione del 19 Dicembre, e di rimando quanto ramificata sia la Ndrangheta nel paese, anche lontano dai suoi luoghi simbolo, c’è di più. C’è il peso dei colletti bianchi, per dirla con le parole di Nicola Gratteri: “in questo processo c’è un’altissima percentuale di colletti bianchi e di quella che si definisce “zona grigia”, fatta di molti professionisti e uomini dello Stato infedeli”. Ancora una volta il ruolo dello Stato, dei suoi uomini, della collusione fra ciò che dovrebbe essere luce e quella che non si più che definire ombra.

E Il procuratore di Catanzaro continua, chiamando in causa anche quelli uomini dello Stato che infedeli non sono mai stati ma che, con colpa o senza, non hanno “preso con la dovuta serietà e rigore quello che è accaduto sotto i nostri occhi per decenni”.(IV) I nomi politici dei convolti non fano sconti a nessuno, vanno da destra a sinistra, da volti nuovi a personalità conosciute da più tempo.

Il senso sembra chiaro: nessuno è immune, non è una questione di appartenenza politica, di età, e ormai neanche più geografica.


“Rinascita Scott” è, per i suoi numeri, il più grande processo mai avviato contro la Ndrangheta, paragonato da alcuni al Maxi Processo di Palermo contro le cosche Siciliane, nonostante il magistrato abbia dichiarato di “non volersi accostare alle figure di Falcone e Borsellino”.

Adesso si attende il trasferimento del processo a Lamezia, dove dovrebbe riprendere nel mese di novembre, e per il quale il Procuratore Gratteri, sentito anche dalla Commissione Parlamentare Antimafia, ha richiesto un aumento di organico della Procura, una creazione di sezioni specializzate contro la criminalità organizzata anche tra i magistrati giudicanti, così come accade tra gli inquirenti, e norme che consentano ai Sindaci di gestire al meglio i fondi europei erogati per l’emergenza Covid19, affinché vengano usati per chi davvero ne ha necessità e non per ingrassare i portafogli e i traffici delle mafie. (V)

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