Risvegli.
Regia di Penny Marshall, 1990.
Una riflessione ispirata dalla visione del film iconico ‘Risvegli’.
Una storia raccontata negli anni novanta che oggi sembra più attuale che mai.
Due epidemie che a distanza di un secolo hanno portato la società ad affacciarsi alla riflessione di questioni primarie all'essere umano, apparentemente dimenticate.
‘Risvegli’ è una storia vera, quella scritta e vissuta dal dott. Oliver Sacks, il quale non è solo lo scrittore dell’omonimo saggio del 1973 ma il protagonista nel 1990 del film. Interpretato dall'indimenticabile Robin Williams con il nome di Malcom Sayer, egli scopre nel 1969 come il farmaco sperimentale LEVO-DOPA, potesse esser preso in considerazione per curare i pazienti del Beth Abraham Hospital, nel Bronx, affetti di catatonia, dovuta all'encefalite letargica.
Breve cenno su cosa significa e cosa comporta questa malattia.
L’encefalite letargica è comunemente conosciuta come la ‘malattia del sonno’ poiché costringe ad un sonno improvviso nonché profondo coloro che ne sono affetti. Si sviluppò negli anni che vanno dal 1915 al 1920 ed infatti, per questa sua sincronia con la grande e più diffusa influenza spagnola, è poco conosciuta, oggi. Sfortunatamente, l’encefalite letargica fu una vera e propria pandemia che colpì milioni di persone subito dopo la fine della Prima Guerra mondiale. L’agente causale oltretutto non è ancora conosciuto.
Molte furono le vittime e coloro che invece riuscirono a sopravvivere manifestavano vere e proprie forme di catatonia: divenendo come statue, immobili, inespressive, apparentemente e, solo apparentemente, assenti.
E così, il dottore Malcom Sayer si trova in un ospedale psichiatrico al cospetto di pazienti sopravvissuti alla ‘malattia del sonno’ non volendo limitarsi ad assecondare
questi poveri pazienti, e con varie peripezie (che non svelo per chi non avesse visto il film) tuffandosi appieno alla ricerca di stimoli, decide di somministragli il farmaco L-DOPA, utilizzato per i pazienti parkinsoniani, una decisione, non facilmente condivisa dai diversi medici dell’ospedale ma fondamentale per Sayer perché comprendeva il loro stato di prigionia. Non erano solo statue, non erano solo enti costituiti di corpo e materia e privi di vita, ma avevano ancora un’anima, che lottava tra le sbarre della prigione del loro stesso corpo. Erano ancora esseri animati:
“Il suo sguardo, dopo tanto vedere attraverso le sbarre, è divenuto così stanco che non ce la fa ad accettare nient’altro. Per lui è come se le sbarre fossero migliaia e migliaia e dietro le migliaia di sbarre nessun mondo”.
L’interprete magistrale, Robert De Niro è il secondo protagonista di questa storia, è Leonard Lowe, paziente affetto anch'egli di catatonia ed il primo a cui viene somministrato il farmaco. La speranza di Sayer è molta e sembrerebbe ripagata, poiché Lowe e così successivamente gli altri pazienti, si risveglia dopo trenta anni e si ritrova in una condizione del tutto nuova, tuttavia ritrovata, quella del giovane Leonard di appena vent'anni, poco prima di cadere in questo stato di sonno perenne. Nasce una nuova speranza, quella di vivere una vita normale, di poter guarire definitivamente e non aver ripercussioni. Una speranza ancora più grande e pericolosa della precedente, una speranza del poi, del dopo. Il dott. Sayer avrà una nuova visione della vita.
Significativa la scena in cui lo ascoltiamo suonare al pianoforte ‘Eusebius’, una delle 22 scene che compongo il Carnaval di Robert Schumann. La musica qui non è solo la cornice della scena ma assume un valore inusuale, poiché il movimento musicale è fortemente un richiamo autobiografico del compositore romantico che mette in musica uno dei due aspetti del suo carattere: sognante, speranzoso, riservato. Così la personalità di Schumann si intreccia con quella del Dott. Sayer ed ‘Eusebius’ è una raffinata metafora di esso.
Ed ecco che siamo catapultati nel nostro mondo, nella nostra epoca, in pieno periodo di crisi sanitaria, economica, sociologica, psicologica ed etica causate dal virus COVID-19. La nostra società sembra sospesa, come lo era la realtà dei catatonici, una realtà fantasma, surreale. Confinati nelle nostre case per le restrizioni dei decreti-legge la paura per questa nuova pandemia ci accomuna alla speranza del dottor Sayer, di un futuro nuovo, di una possibile rinascita ma allo stesso tempo la paura più grande del l’incognita del dopo, del ritorno della malattia come regressione la paura che Lowe ha nel ritornare nella sua prigione ma anche e soprattutto la paura per una realtà futura e non ancora conoscibile, paura del fato che coinvolge tutti, a livello mondiale, umano, di terribili effetti collaterali causati dalla malattia.
Probabilmente condividiamo anche qualcosa di più, a livello esistenziale. La società moderna, con i suoi ritmi incessanti e continui, sempre più frenetici ci hanno impedito di renderci conto della realtà. L’aspetto economico guida la società di oggi e ci impone costantemente un consumismo di necessità. Siamo ben lontani dall'ideale che fondava la società dei consumi, della richiesta e dell’acquisto incessante dei cosiddetti ‘beni secondari’ ma alquanto distanti anche dal consumismo dei ‘beni posizionali’, ovvero quei beni che non hanno solo un valore intrinseco ma ciò gli è attribuito dalla classe sociale che la possiede. Per quanto siano entrambi esistenti, quello di necessità è un consumismo che ha trasformato quegli stessi beni secondari in primari così da esser necessari e ulteriori. Così il lavoro è sempre più importante, frenetico e pressante, per gli orari e per la forte crescita della violenza psicologica attuata nei luoghi di lavoro.
Ed ecco che ritorna il filo rosso che ci lega al nostro film, quello che poco sopra abbiamo definito esistenziale: potremmo effettivamente crescere come fa il dott. Sayer? Potremmo vivere, anziché esistere a fronte della prigione senza sbarre in cui la malattia ci ha costretti? Può essere questa terribile esperienza, come per Sayer è stata la malattia dei catatonici e l’inesorabile destino di Lowe, farci comprendere quel che qui con grande amarezza Robin Williams sostiene a chiusura del film?
"Sappiamo solo che lo spirito dell’uomo è più forte di qualsiasi farmaco, e che questo spirito ha bisogno di essere nutrito. Il lavoro, il gioco, l’amicizia, la famiglia: sono queste le cose che contano, e noi l’avevamo dimenticato... Le cose più semplici!"
Referenze:
Foto in evidenza tratta dal film 'Risvegli'
Комментарии