Madri, figlie, nipoti, mogli, le donne nel mondo della criminalità organizzata esistono, svolgono un ruolo e, negli ultimi decenni, hanno visto mutare le loro occupazioni proprio come in molti altri campi.
Donne di mafia e donne contro la mafia, donne vittime e donne responsabili di crimini, donne che proteggo e donne che denunciano, il panorama è vario, impossibile trovare una definizione univoca per il ruolo della donna nella società mafiosa.
Tanto nel parlare di mafia quanto nel parlare di antimafia i primi nomi che vengono in mente sono maschili: Totò Riina e Bernardo Provenzano, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, le prime immagini che ci figuriamo quando ci viene detto “criminalità organizzata” sono quelle degli uomini dei clan o quelle dei servitori dello Stato che hanno dedicato, e a volte perso, la loro vita alla giustizia.
Il mondo mafioso però, a suo modo una società nella società, non è, come nessuna organizzazione sociale può esserlo, un mondo tutto al maschile.
C’è una differenza tra l’organizzazione in senso stretto, il gruppo di comando, la gerarchia, la cupola, ancora oggi prettamente maschile, e il mondo che ruota intorno alla cultura mafiosa, una cultura che, come tutte, ha bisogno di essere tramandata alle future generazioni, ruolo principale che le donne occupano nelle famiglie di mafia. (I)
Diverse sono però le storie delle singole donne nate e cresciute in ambienti mafiosi.
Alcune sono storie di ribellione, più o meno conosciute, altre storie di criminalità.
Rimandandovi al prossimo articolo per storie di donne dentro la Mafia vi presentiamo oggi la vita di tre donne nate e cresciute in contesti mafiosi che, ognuna nel suo mondo e a suo modo, hanno deciso di ribellarsi alla cultura in cui vivevano.
Rita Atria, rispetto agli uomini di mafia, è stata una figlia e una sorella. (II)
Quella di Rita è la storia di una vita durata poco, neanche diciotto anni, una vita in cui la criminalità organizzata entrò prepotente fin da subito.
Figlia di un piccolo boss di Partanna, il paese in provincia di Trapani in cui era nata e cresciuta, ha appena undici anni quando perde il padre in un agguato dei Corleonesi nel 1985, da poco divenuti il clan più forte dell’intera Sicilia con la vittoria della sanguinosa seconda guerra di mafia. (III)
La morte di Vito Atria colpisce soprattutto dentro la piccola famiglia di Rita, in cui il ruolo del genitore morto passa a Nicola, il primogenito di dieci anni più grande, da poco sposatosi con Piera Aiello.
Non è solo all’interno dell’ambiente familiare che il ragazzo prende il posto del padre; nel mondo che Vito Atri si è lasciato alle spalle morendo c’è anche la mafia, e il figlio lo sa.
L’azione principale di Nicola Atria riguarda il mondo degli stupefacenti, con cui guadagna rispetto e potere.
Rita è una ragazzina, ma il rapporto col fratello, complice anche il lutto, è forte; ne diventa una confidente, l’affidataria di tanti segreti che riguardano Partanna, i suoi uomini, la sua gerarchia, finanche gli assassini del padre.
Rita Atria conosce, impara, ascolta ciò che le viene raccontato. (IV)
Passano circa sei anni dalla morte di Vito Atria quando al figlio, il 24 giugno del 1991, tocca la stessa sorte.
Nicola Atria muore in un agguato sotto gli occhi della moglie ventiquattrenne Piera e della figlia di appena tre anni.
La vedova prende coraggio e denuncia, racconta agli investigatori quello che sa, parla con polizia e magistratura.
Il suo gesto spinge alla stessa azione la giovanissima Rita, diciassette anni ancora da compiere, che conosce così Paolo Borsellino, all’epoca procuratore di Marsala. (V)
Per Rita la denuncia è la rottura totale con ciò che resta della famiglia, sua madre, che non accetta la sua scelta e non lo farà mai, neanche dopo la morte della ragazza.
In Paolo Borsellino, però, Rita ritrova una figura genitoriale, quasi paterna. Insieme a Piera vengono portate a Roma in una località segreta, dove vivono sotto falso nome e continuano a collaborare con la giustizia.
Piera Aiello ha ripreso il suo nome solo nel 2018, quando è stata eletta alla Camera dei Deputati in seno al Movimento 5 Stelle. (VI)
Per Rita però il destino è diverso.
La morte di Paolo Borsellino nella strage di Via D’Amelio il 19 luglio del 1992 è la fine di ogni sua speranza. Tutto ciò che ha vissuto nel lungo anno tra la morte del fratello e l’attentato al giudice viene meno in quei giorni di luglio e Rita si toglie la vita lanciandosi dal palazzo in cui viveva il 26 luglio dello stesso anno.
I funerali a Partanna sono vuoti, nessuno partecipa all’ultimo saluto, neanche la madre, che pochi mesi dopo andrà anzi a distruggerne la lapide in quel cimitero di paese in cui dorme il suo sonno eterno.
Lea Garofalo nasce lo stesso anno di Rita Atria, nel 1974, ma a Petilia Policastro, in provincia di Crotone, e come Rita si vide portare via parte della famiglia dalle guerre interne alla criminalità organizzata; il padre Antonio, morto quando aveva appena nove mesi, e il fratello Floriano, ucciso nel 2005.
Quando si trasferisce a Milano nei primi anni novanta è ancora una ragazzina, innamorata del fidanzato Carlo Cosco e mamma di Denise, la loro unica figlia, nata nel 1991. (VII)
Sono passati appena cinque anni dall’arrivo della bambina quando, nel 1996, Cosco viene arrestato assieme ad alcuni parenti per traffico di stupefacenti.
Lea va a trovarli in carcere, ed è proprio durante una di queste visite che informa il compagno della sua decisione; vuole lasciarlo e portare via la piccola. (VIII)
Cosco non reagisce bene, ma Lea e Denise riescono ad andar via da Milano proprio come volevano.
Passano altri sei anni, arriva il 2002 e Lea Garofalo capisce, dopo diversi episodi tra cui l’incendio della macchina, che la famiglia Cosco non ha dimenticato e medita vendetta.
Chiede aiuto alle istituzioni, si rivolge ai carabinieri ed entra assieme alla figlia in un programma di protezione testimoni in cui restano fino al 2006, anno in cui la protezione viene loro revocata perché le dichiarazioni “non sono ritenute attendibili né hanno prodotto risultato alcuno”.
Inizia una battaglia giudiziaria che dura un anno, al termine del quale Lea Garofalo e Denise rientrano nel programma di protezione ma come collaboratrici di giustizia e non come testimoni.
La differenza di trattamento è pesante, tanto che nel 2009 è la stessa Lea a decidere di uscirne in modo definitivo tentando di riallacciare i rapporti con la famiglia di origine.
L’uscita dal programma permette alla famiglia di Carlo Cosco di rintracciarla.
Lui si riavvicina alla ex compagna e alla figlia, si fa raggiungere da loro a Milano nel Novembre 2009, cerca e ottiene nuovamente la fiducia di Lea, fiducia che le sarà fatale.
Il 24 Novembre 2009 Carlo Cosco porta con l’inganno Lea Garofalo in un appartamento di Milano, in Piazza Prealpi 2, dove la uccide.
Successivamente ne fa condurre il corpo senza vita su un terreno a San Fruttuoso, Monza, dove gli viene dato fuoco al fine di cancellarne ogni traccia.
A condurre gli investigatori alla verità fu la figlia Denise, che non vedendo tornare la madre quella sera di Novembre sospettò subito del padre.
Felicia Bartolotta, invece, la Mafia la conosce sposandosi con Luigi Impastato nel 1947. (IX) “Io allora non ne capivo niente di mafia, altrimenti non avrei fatto questo passo”, racconterà poi, lei che con Luigi si sposa per amore, andando contro alla tradizione e al volere della famiglia. Il matrimonio non è facile fin da subito, proprio per la differente visione che hanno i coniugi della situazione di Cinisi, il paesino in provincia di Palermo in cui vivono. Felicia Impastato, di quelle persone con cui ha a che fare il marito, non ne vuole sapere nulla. Dal loro matrimonio nascono tre figli, Giuseppe, il piccolo Giovanni che muore nel 1952 ad appena tre anni, e l’ultimo, battezzato anche lui Giovanni, venuto al mondo nel 1953. Giuseppe Impastato, per gli amici Peppino, è il punto di connessione tra Felicia e il mondo dell’antimafia. La battaglia di Peppino dura quindici anni, terminando il 9 maggio del 1978 con la sua morte, un inscenato suicidio. Per Felicia sono anni difficili, anni in cui l’amore per il figlio è fatto anche di discussioni. Peppino viene cacciato di casa dal padre, lei lo difende, ma quando l’azione contro la Mafia del ragazzo inizia a farsi più forte, soprattutto nei modi, tenta di dissuaderlo dal dire e scrivere troppo ciò che pensa. Quando Peppino muore la scelta di Felicia è coraggiosa: si allontana dalla famiglia del marito, si avvicina alla giustizia, ai compagni di battaglia del figlio. Apre la sua casa ai giovani che passano per Cinisi per ricordare e portare avanti le idee e la memoria di Peppino Impastato, partecipa ai processi e indica in aula, col dito puntato, Gaetano Badalamenti come mandante dell’omicidio del figlio. Morta nel 2004, la sua abitazione è ora “Casa memoria Felicia e Peppino Impastato”. (X)
Referenze
(I) http://www.salvisjuribus.it/studio-criminologico-sul-ruolo-della-donna-nella-mafia-tra-lombroso-teorie-sociologiche-della-devianza-e-vittimizzazione/ (II) enciclopediadelledonne.it/biografie/rita-atria/ (III) https://it.wikipedia.org/wiki/Seconda_guerra_di_mafia (IV) https://www.avvocatoguerra.it/blog/rita-atria-testimone-giustizia (V) https://www.wikimafia.it/wiki/index.php?title=Rita_Atria (VI) https://it.wikipedia.org/wiki/Piera_Aiello (VII) https://www.wikimafia.it/wiki/index.php?title=Lea_Garofalo (VIII) https://vivi.libera.it/storie-894-lea_garofalo (IX) http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/felicia-bartolotta-impastato/ (X) https://it.wikipedia.org/wiki/Felicia_Impastato Fonti immagini Rita Atria https://www.tpi.it/news/rita-atria-testimone-di-giustizia-2018072646687/ Lea Garofalo https://it.gariwo.net/giusti/biografie-dei-giusti/resistenza-mafia/figure-esemplari-segnalate-da-gariwo/felicia-bartolotta-impastato-14327.html Felicia Impastato https://it.gariwo.net/giusti/biografie-dei-giusti/resistenza-mafia/figure-esemplari-segnalate-da-gariwo/felicia-bartolotta-impastato-14327.html
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