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Immagine del redattoreEva Prodi

"Siamo tutti femmine, e tutti odiamo esserlo"

Aggiornamento: 22 mag 2020

“Siamo tutti femmine, e tutti odiamo esserlo”[i].

Con queste parole indubbiamente provocatorie, una ragazza transessuale di 28 anni, scrittrice per il New York Times e autrice di saggi come “My New Vagina Won’t Make Me Happy” e “On Liking Women” rivoluziona il panorama internazionale degli studi di genere, offrendo un nuovo significato a parole da sempre incastrate in categorie e stereotipi profondamente radicati. Secondo Andre Long Chu, infatti, l’essere “femmina”, definito come “sacrificare il sé per fare spazio ai desideri di un’altra persona”, è una condizione che da sempre è stata riservata alle donne, incarnata nella loro storica sottomissione e nell’accettazione di un’insita gerarchia tra i generi. Tuttavia, il punto cruciale della teoria che la scrittrice sviluppa nel libro "Femmine" consiste proprio nell'accettare che tale condizione appartiene a tutti, poiché ha origine nelle relazioni con l’altro, da cui siamo costantemente definiti e a cui, anche involontariamente, ci sottomettiamo.

Il genere emerge dunque come il frutto di una serie di norme sociali con cui ognuno reagisce alla profonda femminilità che ontologicamente caratterizza l’essere umano: c’è chi la rifugge e chi, invece, la incarna pienamente. Indipendentemente dall’interpretazione che si decide di dare al fenomeno, il tradizionale legame che associa femminilità a debolezza e sacrificio e mascolinità a forza e autonomia ha indubbiamente portato al consolidamento di un sistema profondamente binario, che tende a escludere tutto ciò che non sia conforme ai suddetti stereotipi.

Nel rigido quadro appena descritto, gli episodi di violenza di genere, in tutte le forme a cui si può fare riferimento, sono riconducibili a un tentativo estremo di normalizzare e riprodurre, talvolta agli estremi, un dislivello che è però soltanto socialmente costruito.

Per questo motivo è ancora necessario parlare di “Questioni di genere”, portare al centro dell’attenzione le disuguaglianze per poi giungerne alle radici, che affondano in un terreno solidificatosi nel corso di migliaia di anni. Per questo motivo, poi, le questioni di genere devono riguardare tutti: non solo le donne, che ancora, dati alla mano, sono le principali vittime di discriminazione. Proprio perché hanno origine dallo stesso sistema, devono trovare spazio nella lotta alle discriminazioni di genere anche omofobia e transfobia, fenomeni di cui si parla ancora troppo poco - tanto che il correttore automatico del computer indica con una sottile linea rossa l’inesistenza della parola che va ad indicare la discriminazione nei confronti di persone transgender e transessuali.

In un presente in cui l’Italia è scesa al 76esimo posto della classifica mondiale stilata dal World Economic Forum per la parità di genere [ii] e al 34esimo posto tra le nazioni europee nell’indice di protezione dei diritti delle persone LGBTQ+ [iii], il genere risulta ancora un fattore fortemente discriminante. Se la prospettiva di "Disfare il genere" [iv] offerta dalla filosofa statunitense Judith Butler può risultare ancora troppo utopica, nuove strade possono nel frattempo essere create per colmare quel divario tra una realtà che è ancora troppo spesso ostile e un ideale superamento delle distinzioni di genere.

Le disuguaglianze sociali, economiche e culturali che tale sistema porta con sé sono superabili solo attraverso una consapevolezza comune dei suoi limiti. Finché dunque categorie di persone che deragliano dai due ferrosi binari sociali verranno discriminate, oppresse o anche solo non considerate, sarà necessario riportare le loro storie, dare voce alle disuguaglianze e costruire un futuro in cui la diversità possa essere davvero il punto di partenza per l’uguaglianza.


Referenze

[i] Chu, A. L. (2019).Females. Brooklyn, NY: Verso.

[iv] Butler, J. (2009). Undoing gender. New York, NY: Routledge.

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